Anna Romanin
Un buon comunicatore non deve essere un esperto in tutto, ma deve saper cercare, verificare e interpretare le fonti. Ma cosa succede quando si affronta un tema attuali e controverso come la plastica?
La scienza è complessa e non sempre ha risposte definitive. Il ruolo del comunicatore diventa cruciale per renderla comprensibile senza semplificarla eccessivamente. Abbiamo esplorato un argomento attuale e controverso: la plastica, insieme a Ruggero Rollini, divulgatore scientifico che porta la scienza nelle scuole e al grande pubblico (Superquark+, Noos).
Rispetto al tema” plastica” abbiamo un problema di comunicazione. C’è confusione e manca un solido consenso scientifico. Ci aiuta a fare un po’ di chiarezza?
La chiave è questa: quando si parla di tematiche complesse come quella della plastica - ma non solo - bisogna far affidamento alle fonti scientifiche, ricordando però che “una ricerca non fa primavera”, cioè non ci si può limitare a un paper o un articolo. Per avere un quadro completo rispetto ad un tema complesso bisogna mettere insieme tanti studi e pubblicazioni, perché, appunto, vista la complessità, talvolta i risultati sono discordanti. La letteratura scientifica va saputa leggere, interpretare e mettere assieme per restituire un quadro adeguato. Sul tema della plastica poi che riguarda gli impatti ambientali o la salute, bisogna essere in grado di riuscire a comunicare questa incertezza senza trovare titoli accattivanti che portino “like”. Una comunicazione basata sui dati aiuta a gestire le incertezze in modo onesto.
Quindi, quale può essere un consiglio per i comunicatori che hanno bisogno di comprendere temi complessi?
Ci si informa alla fonte, a partire da reportistiche internazionali che sono il risultato di migliaia di studi diversi. Ad esempio, in questo caso, il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP), l'Agenzia europea per l'ambiente, l’Environmental Protection Agency (EPA), ovvero l'Agenzia per la protezione dell'ambiente statunitense (sempre sperando che sia ancora una fonte affidabile da visti i mutamenti interni che stanno avvenendo adesso nelle realtà nelle realtà statunitensi…). L'importanza della ricerca della fonte è una chiave. Poi avvalersi del lavoro di altri divulgatori o di ricercatori che si occupano di studiare questi materiali può essere un modo veloce per farsi un quadro della situazione. E ci vuole quell'umiltà di non parlare di temi che non si sanno.
Ha scritto un libro molto letto, Quello che sai sulla plastica è sbagliato, dove sfida anche convinzioni comuni. Qual è il più grande problema per lei?
La mancanza di accettazione dell'incertezza e della complessità. Plastica = decine di materiali diversi. Mettere tutto nello stesso calderone è un problema, sarebbe più opportuno ragionare in termini di polimeri principali. Da un lato dovremmo riuscire a fare una comunicazione che riesca a dire “Sì, occhio, abbiamo davvero un problema con questo materiale, ne stiamo facendo un abuso!” e al tempo stesso dire che non possiamo eliminarlo completamente, perché in alcuni determinati casi, è il meglio che possiamo scegliere da un punto di vista di conservazione di cibi ad esempio.
Ha mai avuto delle difficoltà nel raccontare i suoi studi sulla plastica, considerando quanto sia un tema polarizzante e controverso?
Per capire un argomento bisogna mettercisi lì con la testa e aver volontà di capire l'argomento. Non sempre il pubblico, soprattutto quello generalista, ha questa volontà di dedicare tempo e attenzione, mentre certi temi necessitano di attenzione perché altrimenti ci si limita a informarsi tramite gli slogan ed è la cosa peggiore che si possa fare. Con messaggi semplici, immediatamente comprensibili, non si restituisce la complessità del tema; quindi, ci vuole la volontà di spiegare da parte nostra e la volontà di capire dall'altra parte.
Questo tema poi si inserisce in un quadro più ampio che tocca temi ESG in senso ampio. Chi lavora nella comunicazione, che è più propenso a leggere e informarsi, ne viene a contatto quotidianamente, anche se si occupa di altro.
Questi giganteschi problemi ambientali - plastica, la perdita di biodiversità, il cambiamento climatico - non vanno affrontati solo come individui, ma come comunità nazionale e internazionale, perché sono temi che non hanno confini. O se li hanno sono poco definiti. Servono politiche globali e ad oggi non esiste un trattato internazionale sulla plastica che poteva essere il corrispettivo, per fare un esempio, degli accordi di Parigi sul cambiamento climatico. Servono degli obiettivi chiari sapendo che di questo materiale non possiamo fare a meno. Sapendo che è un materiale complesso, problematico, ci deve essere un dialogo continuo fra tutte le parti: scienza politica, industria e società civile. Le decisioni vanno prese da un punto di vista collettivo. Non sono temi esclusivamente scientifici, sebbene la componente scientifica sia preponderante.
Usciamo dal ruolo di comunicatori ed entriamo in quello di cittadini: quali notizie positive intravedi nel futuro della plastica?
Vedo materiali pensati già per il loro fine vita in fase di progettazione. Vedo più plastica bio based, quindi vedo meno affidamento al petrolio e più plastica che derivi da fonti rinnovabili, possibilmente non in conflitto con industria alimentare, quindi magari da scarti. Vedo anche la biodegradabilità della plastica o il compostaggio, che è un sottoinsieme della biodegradabilità. Non avremo meno plastica, ragionevolmente ne useremo sempre di più, però un utilizzo più mirato e preciso si rende necessario. Cioè appariranno tante soluzioni tecnologiche e forse si arriverà a riciclare tutte le plastiche come adesso ricicliamo bene il pet delle bottigliette e saremmo già ad un risultato straordinario.
E tutto questo deve essere comunicato nel modo giusto. I divulgatori hanno il privilegio di rendere accessibili dati e soluzioni, evitando semplificazioni e aiutando il pubblico a comprendere la complessità. La chiave? Informare per trasformare.
Chi è Ruggero Rollini? Laureato in chimica e divulgatore scientifico. È assegnista di ricerca al Dipartimento di Chimica Industriale dell’Università di Bologna. Studia e combatte la chemofobia, cioè la paura irrazionale delle sostanze chimiche (di sintesi). Tiene incontri e conferenze per festival, università̀, scuole e aziende. Ha collaborato alla realizzazione di Superquark+ (RaiPlay) e Noos (Rai1). Ha scritto C’è chimica in casa (Mondadori, 2022) e Quello che sai sulla plastica è sbagliato (Gribaudo, 2023).