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Mostrare, non solo raccontare: il nuovo patto tra PR e giornalisti

17/03/2025

Giorgio Pezza

Il dibattito sul rapporto tra PR e Giornalisti prosegue anche questa settimana con l’intervento del socio Giorgio Pezza, che aspira  a nuovo patto tra i due mondi, basato su contenuti di valore, storie visibili e un dialogo più autentico.

 

Cosa serve davvero a un giornalista? Possiamo dire così: al giornalista non servono solo informazioni, ma racconti, storie, narrazioni che abbiano valore. Non basta comunicare, bisogna mostrare. Il giornalismo stesso, lo sappiamo, è un prodotto che si è sempre nutrito di storie. Una consapevolezza spesso poco valorizzata a scapito di comunicati freddi ed eventi prevedibili. 

 

Se vogliamo che le nostre PR siano davvero efficaci, dobbiamo capire una volta per tutte che l’era della semplice "trasmissione di notizie" è finita. Come sta finendo l’era dell’ “amico mio, fammi il piacere di pubblicarmi questo pezzo”. Oggi, l'ambiente informativo è strutturato da codici comunicativi e modelli di business costruiti sull’attenzione delle persone. Non si fanno sconti, anche agli amici: che siano semplici utenti o professionisti dell’informazione, dobbiamo saper costruire un’esperienza emotiva, non solo una successione di dati.

 

Il comunicato stampa: se non si vede, non esiste

Un comunicato statico può ancora bastare? Inutile rispondere. Domandiamoci se un qualsiasi utente, l’uomo o la donna della porta accanto, leggendo un testo puramente informativo o poco curato nell’intenzione comunicativa, possa riscontrare qualche forma di interesse o ricordo positivo. Ecco, allo stesso modo i giornalisti hanno bisogno di qualcosa di più. Il comunicato stampa tradizionale rischia di essere solo rumore di fondo, un file tra mille altri nella casella e-mail (come già sottolineato dai colleghi che mi hanno preceduto).

 

Forse, allora, è arrivato il momento di iniziare a cambiare prospettiva. Non serve solo scrivere, serve far vivere la notizia. Come?

Un esempio è il visual storytelling, una tecnica ampiamente sperimentata che prevede poco testo, più immagini, video, contenuti interattivi. Una notizia che si vede, si ricorda.

 

C’è poi da curare il formato di una comunicazione, affinché acquisisca i connotati esperienziali: non solo, quindi, un PDF in allegato, ma una storia raccontata con elementi multimediali, dati animati, link di approfondimento.

E poi una attitudine cruciale: personalizzare il contenuto. Basta invii massivi e sovraccarico di comunicazioni. Piuttosto, meno flussi e favorire l’unicità dei contenuti costruiti per target specifici, con linguaggi diversi a seconda del pubblico e dei media a cui ci si rivolge. 

Insomma, se una notizia non riesce a creare un'immagine chiara e unica nella mente di chi la legge, difficilmente verrà ripresa. 

 

Eventi e conferenze stampa: il vecchio format non funziona più

Anche qui, i colleghi Romanin e Bertino hanno messo in luce un segnale chiaro che ci arriva sia direttamente sia dai giornalisti sia dall’esperienza mesta delle sale vuote: le conferenze stampa tradizionali hanno perso mordente e attrattività. Perché un giornalista dovrebbe partecipare a un evento che non gli offre nulla di più di un comunicato scritto? Il tempo è poco, l’attenzione è dispersa. Una spallata, in tal senso, è arrivata dal periodo pandemico che ha dimostrato che la presenza fisica non è sempre necessaria. Serve, allora, ripensare questo strumento che non è da mettere nel dimenticatoio. 

 

Ad esempio, si possono ipotizzare dei format immersivi: invece di parlare di un progetto, perché non farlo vivere con delle visite in loco, esperienze dirette, prove pratiche? I giornalisti scrivono meglio quando vedono con i propri occhi.

 

Allo stesso modo, potrebbero essere più efficaci dei micro-incontri e accessi esclusivi: un grande evento generalista, lo sappiamo, non ha più senso ed è poco sostenibile. Meglio incontri mirati, con approfondimenti dedicati e la possibilità di interagire realmente con i protagonisti della notizia.

 

Infine, come già sostenuto da Bertino, sviluppare le leve dell’on-demand e della flessibilità: rendere disponibile l’accesso ai materiali in qualsiasi momento, con riassunti chiari, video brevi e Q&A strutturate. Agevolare, in sostanza, l’accesso alle informazioni ai giornalisti per arrivare a loro nel modo più comodo ed efficace.

 

Il giornalismo ha bisogno di storie, non di documenti

Può apparire brutale, ma l’attuale modello di business dell’editoria impone ai giornalisti di vendere storie. Il nostro lavoro è quello di costruirle e non limitarci a raccontarle. E costruire una storia vuol dire darle corpo, movimento, impatto visivo. Ogni notizia deve rispondere a tre domande chiave:

  • Cosa si vede? Se un lettore non riesce a immaginare chiaramente la storia, il giornalista avrà difficoltà a raccontarla.

  • Cosa emoziona? L’informazione deve coinvolgere, non solo informare. Le storie che restano sono quelle che toccano un punto sensibile.

  • Dove sta l’elemento umano? Le persone leggono di persone. Un comunicato che non ha volti, voci e storie personali è solo un elenco di fatti senza anima.

 

PR e giornalisti: un nuovo patto narrativo

Mai come ora, il giornalismo cambia pelle continuamente e la comunicazione deve sapersi adattare. Non è più tempo di bombardare di comunicati e inviti a eventi standardizzati.

 

Serve, in sostanza, un nuovo patto tra PR e giornalisti, basato su contenuti di valore, storie visibili e un dialogo più autentico. Chi riuscirà a rendere operativo questo cambiamento, saprà fare la differenza. Viceversa, chi resterà ancorato ai vecchi schemi otterrà spazi residuali. Le domande restano aperte: la comunicazione saprà evolversi? Oppure continuerà a proporre narrazioni che nessuno vuole più leggere?

 


 

Gli articoli precedenti: 

Anna Romanin

Ezio Bertino

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