Giovanni Landolfi
Il 24 giugno la Camera ha approvato il disegno di legge sulla diffamazione. Ne hanno discusso in tanti, salvo i comunicatori, che pure sono i primi a misurarsi quotidianamente con queste norme. Perché siamo così distratti su un tema centrale per la tutela della reputazione di persone e aziende? Certo il contesto non aiuta: se ricordate, la questione è scoppiata 3 anni fa, quando un giornalista, Alessandro Sallusti, fu condannato e arrestato per omesso controllo e diffamazione contro un giudice. Da lì è partita una campagna per l'eliminazione del carcere per i giornalisti in caso di diffamazione, con il relativo processo di revisione normativa, appena approvato in seconda lettura alla Camera. Altro aspetto fuorviante è il costante ricorso a esempi stereotipati: i politici e i mafiosi. Dato che i politici si difendono da soli e i mafiosi sono indifendibili, è ovvio che si faccia poca attenzione a tutto quello che sta nel mezzo e cioè privati cittadini che non hanno alcun mezzo per difendere la propria reputazione in caso, per esempio, di errori giudiziari (il caso Fastweb vi dice qualcosa? Provate a sfogliare il libro "Io non avevo l'avvocato") oppure imprese sbattute in prima pagina per una presunta irregolarità fiscale (Dolce & Gabbana?).La Camera ha appena approvato il disegno di legge sulla diffamazione, che tocca questioni quotidiane della pratica delle relazioni pubbliche, dalle media relations alla tutela della reputazione, dal diritto all'oblio alle rettifiche. Eppure i comunicatori sono i grandi assenti dal dibattito sulla riforma. Ma c'è ancora tempo per farsene carico.