Maria Bruna Pustetto
Dai tempi dello shake the hands all’Happy Birthday con la voce registrata di Harris: la politica e le campagne elettorali d'oltreoceano sono profondamente cambiate. Così come le figure professionali che le costruiscono. Un'analisi di quella che si preannuncia un'elezione presidenziale niente affatto scontata.
Belli i tempi in cui i consulenti politici americani – e di conseguenza noi italiani che da quella scuola a suo tempo avevamo preso tutto - spiegavano come la regola prima di ogni candidato in corsa in una competizione elettorale, fosse questa per un governo locale sino alla Casa Bianca, consisteva nel famosissimo shake the hands.
In poche parole, per conquistare il consenso degli elettori bisognava stargli vicini fisicamente, dargli la mano e, se possibile, allo stesso tempo stringergli l’avambraccio. Un classico della comunicazione non verbale che aveva l’obiettivo di entrare in sintonia con il potenziale elettore facendolo sentire “amico” e, a cascata, un sostenitore e infine un elettore. Un gesto, ancora oggi efficace, ma che possiamo attribuire alla preistoria delle campagne elettorali. Perlomeno americane.
Da allora la televisione ha ridimensionato il suo potere (senza mai dimenticare che nella casa dell’americano medio ancora oggi rimane accesa almeno dieci ore al giorno) limitando così gli investimenti in spot elettorali, sopraffatta da nuovi dispositivi come gli smartphone, i tablet, i pc in cui furoreggiano i social ai quali nessun candidato può e vuole sottrarsi. Dai registi televisivi e finanche cinematografici ai quali era affidato il compito di realizzare gli spot televisivi più avvincenti, oggi la nuova figura che si è affacciata nei team di consulenti è quella del social manager campaign che si interfaccia con il general manager, gli assistenti all’immagine e alla comunicazione, i sondaggisti e tutto quel mondo che spesso in Italia rientra, maldestramente, nell’unica definizione di pierre.
Che gli occhi di chi svolge questo mestiere siano rivolti oltreoceano, è più che evidente anche per le anomalie che le prossime elezioni presidenziali americane presentano. La prima di queste è la presenza sulla scena mediatico-elettorale non di due contendenti, Kamala Harris e Donald Trump, ma di tre, in quanto Joe Biden, presidente in carica, sta lavorando, ventre a terra e testa sovente tra le nuvole, per la sua vice partecipando a rallies, rilasciando interviste e persino spot elettorali.
A questa anomalia se ne aggiunge un’altra, rappresentata dalla stessa Kamala Harris, con le carte in regola per diventare la prima donna presidente d’America che potrebbe surclassare l’ambiziosissima Hillary Clinton non ancora ripresasi dalla sconfitta clamorosa contro l’ingombrante Trump.
Dall’osservazione di questa campagna e dei contendenti, è evidente che la Harris, con alle spalle il determinante sostegno degli Obama, non è in grado di monetizzare, in termini di voti, la sua opaca vicepresidenza mentre si stanno rivelando essenziali gli endorsement e relativi assegni che le sono arrivati dalle più importati celebrities di Hollywood grazie anche all’impegno della pierre Hannah Linkenhoker che si appoggia alle molteplici agenzie delle star. Non solo. Nel cerchio magico della Harris, capacissima a mandare a memoria interi discorsi, è presente anche sua sorella Maya oltre agli strateghi, capitanati da David Plouffe e Stephanie Cutter (Precision Strategies), che si son fatti le ossa prima con Barak Obama e poi con Biden.
Una continuità che dimostra la ferrea volontà del partito democratico di riprendere in mano le sorti del paese in un momento in cui il suo posizionamento può determinare non pochi equilibri mondiali.
I consulenti di Trump, abituati ad essere licenziati con un sopracciglio alzato, puntano su una sorta di vittimismo, facilitato dal tentato omicidio, con la collaborazione del suo vecchio staff (Susie Wiles e Chris LaCivita) a cui ha affiancato i consiglieri senior Taylor Budowich, Alex Pfeiffer e Alex Bruesewitz, provenienti dal comitato di azione politica Maga Inc. e, soprattutto, il navigatissimo Corey Lewandowski, che sostiene la linea del suo capo di attaccare sempre e comunque la Harris, la cui voce può concretizzarsi al telefono di chiunque nel giorno in cui compie gli anni. L’Happy Birthday dalla voce registrata di Kamala sta arrivando ogni giorno sugli smarthphone di milioni di americani. Anche questa è campagna elettorale.