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Visione strategica e capacità di networking per connettere settore pubblico e privato

#FERPISideChat

09/07/2024

Giuseppe de Lucia

Ospite di Giuseppe de Lucia nella rubrica #FERPISideChat Niccolò de Arcayne, Associate Director Italy di Rud Pedersen Public Affairs, realtà internazionale appena approdata in Italia.

Il mercato italiano del public affairs è in fase di grande trasformazione. In questo contesto, gli ultimi 12 mesi abbiamo assistito all'ingresso sul mercato dei fondi di private equity e di importanti gruppi di consulenza internazionali. Qual è la tua visione rispetto a questo nuovo scenario?
Per spiegare la sempre crescente importanza di società internazionali, quali ad esempio Rud Pedersen - notoriamente radicate a Bruxelles - all'interno dei singoli contesti nazionali, dobbiamo ricordarci che una buona parte della legislazione nazionale viene decisa proprio nella capitale belga, e che le Istituzioni europee, legislatura dopo legislatura, hanno un ruolo sempre più centrale nella definizione delle agende politiche degli stati membri dell'UE.
Inoltre, sono sempre di più le aziende che dai propri headquarters basati a Bruxelles hanno interesse ad avviare una strutturata attività di Public Affairs anche all'interno dei singoli stati membri dell'Unione. In questo caso, l'approccio si differenzia molto a seconda dell'industria di riferimento, ma possiamo dire che questa tendenza sta crescendo di anno in anno. Tale trend, che possiamo definire come "one-shop", ha fatto sì che siano sempre più le aziende orientate verso la scelta di un'unica società di consulenza, radicata in più paesi, con cui poter gestire più agevolmente l'attività nazionale e al contempo progettualità di carattere pan-europeo.
In aggiunta, penso sia utile sottolineare come la globalizzazione e la crescente interdipendenza economica spingano le aziende a cercare partner che possano garantire una coerenza e una strategia integrata a livello europeo. Le società di consulenza, quindi, devono non solo avere una presenza consolidata a Bruxelles ma anche una profonda conoscenza delle dinamiche e delle specificità di ciascun mercato nazionale. Questo approccio multi-country, supportato da competenze trasversali, è essenziale per affrontare le sfide complesse e sempre più interconnesse del panorama legislativo e commerciale europeo.
Ricordiamoci poi che in Italia, il recente ingresso di fondi di private equity ha dimostrato come ci sia una crescente tendenza verso l'aggregazione, nell'ottica di riuscire ad offrire ai clienti una copertura di servizi il più completa possibile, che tenga sempre più in considerazione anche le attività di comunicazione e ufficio stampa, entrambe imprescindibili per il corretto svolgimento dell'attività di public affairs.

Lavorando per un grande gruppo internazionale, la tua attenzione si focalizza in parte verso le istituzioni europee. A tal proposito, quali sono, secondo te, i punti di forza dell'attività di lobbying svolta a Bruxelles?
In premessa, è importante sottolineare che il mercato italiano del public affairs ha raggiunto ormai una piena maturazione in linea con le migliori esperienze internazionali, grazie al contributo dei professionisti e delle società del settore, nonostante manchi ancora una legislazione dedicata.
In ogni caso, a mio avviso, il punto non sta nella differenza tra società, bensì nel divario esistente tra paesi dove l'attività di rappresentanza di interessi è regolata e quelli in cui non lo è.
Una cosa di cui mi sono subito reso conto a Bruxelles, che penso sia sotto gli occhi di tutti, è la facilità di interlocuzione con il decisore. A Bruxelles, ad una richiesta di incontro inviata per e-mail si riceve sempre risposta, il più delle volte positiva. Ciò consente al consulente di poter dedicare meno tempo all'organizzazione di un meeting e più tempo alla definizione dei contenuti e della strategia di public affairs.
Questo punto a mio avviso è cruciale, e rende evidente la differenza tra un sistema dall'anima fortemente "relation-based" come quello italiano, e quello delle istituzioni europee, dove il ruolo del lobbista è perfettamente inquadrato all'interno di un framework operativo, in cui il valore aggiunto, non è tanto l’accesso, quanto la strategia di lobbying sottostante

Con l'evolversi della società si evolvono anche le professioni. Quali sono, secondo te, gli elementi distintivi dell'attività di public affairs che, con l'avvento dell'intelligenza artificiale ed in generale delle nuove tecnologie, stanno mutando significativamente?
Fino a un anno fa avrei risposto che l'intelligenza artificiale avrebbe scatenato una rivoluzione circoscritta all'attività di back-office, oggi invece sono convinto che il cambiamento sia totale e radicale. Non si parla più soltanto dell'integrazione dell'intelligenza artificiale nell'attività di monitoraggio normativo e degli stakeholder, attraverso l'ausilio di programmi dedicati alla mappatura delle informazioni, ma anche di una costante integrazione di strumenti di IA nella definizione di contenuti, nell'analisi del sentiment degli stakeholder, come nella gestione più efficiente e strutturata di campagne di advocacy. Concentrandomi per un attimo sulle campagne di advocacy, è sempre più frequente l'utilizzo di piattaforme basate sull'intelligenza artificiale, che oltre a contribuire ad automatizzarne vari aspetti, soprattutto in fase di engagement, rappresentano un importante supporto anche in fase di definizione dei messaggi, aiutando a calibrarli sulla natura e sull’identità dei singoli interlocutori.

Considerando l'attuale panorama delle società di consulenza nazionali, ritieni che esistano ancora segmenti in cui realtà presenti sul mercato potrebbero fornire un ulteriore supporto alle aziende clienti?
Secondo me un segmento scoperto c'è, ed è quello del supporto ad aziende e associazioni nella partecipazione a programmi di funding europei, come anche nella strutturazione di partenariati strategici. In Italia prendono sempre più piede le Partnership Pubblico-Privato (PPP), come strumento cruciale nello sviluppo infrastrutturale e nei servizi pubblici. Le iniziative di digitalizzazione e innovazione tecnologica, sostenute anche dai fondi del PNRR, offrono nuove opportunità per le PPP, soprattutto in settori come la smart city, la sostenibilità ambientale e la sanità digitale. La partecipazione a programmi di funding dell'UE, funzionali alla definizione delle partnership di cui ho appena detto, passa per il supporto di figure professionali altamente specializzate, policy manager in grado di supportare la formulazione delle politiche, di coordinare gli stakeholder, come anche di definire correttamente i rischi delle singole progettualità. Questi professionisti non solo devono possedere competenze tecniche approfondite, ma anche una visione strategica e una capacità di networking che permettano di connettere efficacemente il settore pubblico e privato. Essi devono essere in grado di navigare tra le complessità burocratiche dei programmi di funding europei, garantendo che le iniziative siano in linea con le normative e le priorità strategiche dell'UE. Insomma, sicuramente un valore aggiunto per le società del nostro settore in Italia.

 

 

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