L’inclusione come driver di innovazione: un nuovo scenario per il privato profit
08/06/2017
Come le aziende possono superare la propria visione legata al soddisfacimento di funzioni economiche per abbracciare una cittadinanza sociale fatta di responsabilità condivise? È un tema da lungo tempo dibattuto a livello internazionale. Oggi non è più in questione il se abbia senso indirizzare il profit verso l’intercettazione di bisogni sociali ed ambientali localizzati in comunità a basso reddito, ciò che si discute è il come. Il modello BOP fornisce delle possibili risposte come spiega Lucia Del Negro, ospite della rubrica di Rossella Sobrero.
Lucia Del Negro, responsabile De-LAB
Da molto tempo ormai, a livello internazionale e nazionale, si discute di come le aziende debbano superare la propria visione legata esclusivamente al soddisfacimento di funzioni economiche per abbracciare una cittadinanza sociale fatta di responsabilità maggiori e, soprattutto, condivise. L’idea, quindi, che il profit possa rapportarsi in maniera diretta con le esigenze sociali ed ambientali dei territori in cui opera è ormai diventata un ulteriore filtro strategico di posizionamento di mercato, intercettando un tipo di stakeholder attento a temi quali la sensibilità sociale, l’innovazione tecnologica, la riduzione degli impatti ambientali.
A tale considerazione, negli ultimi anni, è stato aggiunto un ulteriore livello di analisi, nato dalla consapevolezza di come nelle cosiddette comunità “low-income” esista un enorme potenziale di innovazione, e quindi di crescita, capace di soddisfare bisogni “locali” coinvolgendo in prima persona l’attore privato, cioè l’azienda. Questo è, in nuce, il senso del Modello BOP, o Business Inclusivo che, teorizzato da C.K. Prahalad e S. Hart nel 2002
[1], ha generato un grande dibattito internazionale sul coinvolgimento delle aziende profit in materia di cooperazione allo sviluppo/profit4development.
Ad oggi, non è più in questione il SE abbia senso economico indirizzare il profit verso l’intercettazione di bisogni sociali ed ambientali localizzati in comunità a basso reddito, ciò che si discute attualmente è il COME. Il modello BOP, a riguardo, identifica una soluzione nella creazione dei cosiddetti “Ecosistemi di Business Inclusivo”, ossia delle alleanze collaborative tra attori privati provenienti da economie avanzate, in via di sviluppo, organizzazioni non-profit e attori intermedi (tecnici e accademici) in grado di accompagnare l’azienda nella creazione di una value proposition che resti totalmente profit-driven ma riesca a generare impatti sociali diversi e maggiori rispetto alla basilare generazione di occupazione locale.
Tali ecosistemi, diversi in virtù del loro processo di attivazione, mantenimento e generazione di impatti, permettono di risolvere problemi strutturali molto frequenti in comunità a basso reddito, come l’assenza di un solido interlocutore istituzionale, la difficoltà di reperimento di capitale, condivisione di informazioni strategiche, manodopera, ecc.
Anche in Italia, con la legge di riforma della Cooperazione Italiana allo Sviluppo (L.125/2014) si è aperta la possibilità di coinvolgere attori privati-profit in ambito di cooperazione allo sviluppo, identificando nel modello del Business Inclusivo un sistema di creazione, sviluppo e validazione di investimenti capaci di generare valore aggiunto sociale, di innovazione ed ambientale. Al riguardo, l’impegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) per la definizione del primo bando italiano di cooperazione aperto al profit dimostra come le Istituzioni italiane siano coraggiosamente impegnate nella definizione di nuovi processi di engagement del privato sui temi di Sviluppo, superando il modello pubblico-istituzionale e avvicinando il potenziale del “Made in Italy” a scenari di crescita nuovi, partecipati ed inclusivi.
Da uno studio realizzato da De-LAB
[2] sulla propensione del profit italiano ad impegnarsi in fronti di investimento nuovi e a maggior impatto sociale, l’atteggiamento delle imprese nazionali è incoraggiante. I dati dimostrano che, nonostante il tema risulti nuovo, la volontà di apprendere le basi del modello BOP esiste ed è ampiamente giustificata in ottica di evoluzione dei modelli di mercato. Ciò che ancora rappresenta una sfida è la flessibilità con cui le aziende italiane sapranno condividere scelte e pratiche di lavoro con gli altri partner dell’ecosistema, e come questi ultimi affiancheranno l’azienda nella valutazione obiettiva delle ricadute sociali ed ambientali del proprio operato. Uno scenario innovativo, dunque, stimolerà sempre di più le aziende italiane, chiamate ad imparare a giocare in squadra per vincere.
[1] https://people.eecs.berkeley.edu/~brewer/ict4b/Fortune-BoP.pdf
[2] http://delab.it/pubblicazioni/