Diana Daneluz
Intervista a Daniele Chieffi in occasione dell’uscita di “Crisi reputazionali ai tempi dell’Infosfera”, il suo ultimo libro edito da Edizioni Franco Angeli.
Daniele Chieffi, giornalista, saggista, docente universitario, co-fondatore di BiWise, atelier di comunicazione strategica, dice la sua con una tempistica casuale, ma perfetta, proprio all’indomani del “caso Ferragni”, che ha messo davvero sotto gli occhi di tutti, non solo degli addetti ai lavori che ne hanno magari affrontate tante, cosa significhi una crisi di reputazione.
Lo fa in un libro uscito nei giorni scorsi, oltre duecento pagine che l’autore indirizza tanto alle organizzazioni quanto ai singoli, dove fornisce nuovi strumenti per affrontare la crescente complessità delle crisi reputazionali sempre in agguato nell’infosfera, ed elabora un modello di risposta basato sulla percezione del pubblico e su alcune strategia innovative e concrete per prevenirle e gestirle. Il tutto nell’alveo di un sistema in rapida evoluzione e sempre più permeato dall’Intelligenza Artificiale.
Ci siamo incontrati davanti ad un caffè e ne abbiamo parlato.
Daniele, prolifico autore, perché hai sentito di intervenire ancora una volta, a soli tre anni di distanza dal tuo precedente libro sul tema, sulla “reputazione ai tempi dell’infosfera”? Cosa è cambiato?
Perché la reputazione è a tutti gli effetti un tema che diventa sempre più centrale, e perché la reputazione non è più solamente ciò che tu costruisci come comunicazione, ma diventa essenziale il fatto che possa essere travolta, colpita, danneggiata, pesantemente messa in discussione da fenomeni che stanno diventando all’ordine del giorno. Non c’è azienda, non c’è organizzazione, non c’è personaggio, non c’è persona, che non veda la propria reputazione a rischio, In questo senso quindi c’era bisogno di concentrarsi, come avevo fatto anche io nel testo di tre anni fa, nella costruzione di “reputazione”. Oggi ho voluto completare il percorso intrapreso e quindi mettere sul tavolo uno studio che lavorasse sulla difesa della reputazione, su come gestire quelli che sono gli effetti della crisi che oggi sono esclusivamente reputazionali.
La crisis communication è una branca del crisis management che ha lo scopo di contenere il più possibile le conseguenze di una défaillance reputazionale. Anche a livello teorico andranno forse innestati concetti nuovi?
Tanti strumenti nuovi. E anche questo è il motivo per cui ho sentito il bisogno di scrivere un testo tecnico e divulgativo. Perché in realtà sono necessarie non solo nuove skill professionali, ma servono anche veri e propri nuovi approcci per gestire la crisis communication all’interno del crisis management. Anzi. Il libro sostiene, è la mia tesi, ribaltando un po’ i concetti, che in realtà il crisis management sia diventato un pezzo della crisis communication. Perché tutto ciò che viene fatto per gestire una situazione di crisi ha anche un valore in termini di comunicazione. Quanto meno da un punto di vista simbolico. E questo inevitabilmente fa sì che la gestione di una crisi diventi essa stessa comunicazione di crisi. Questo è un approccio completamente nuovo, per il quale sono necessarie competenze che vanno oltre quelle tecniche tradizionali: bisogna avere una sensibilità maggiore per gli aspetti psicologici, semiologici, simbolici, per gli aspetti di psicologia di massa, conoscere nel profondo le dinamiche che muovono il digitale e, in più, i nuovi strumenti e in particolare l’Intelligenza Artificiale che sta rivoluzionando tutto il nostro mondo di riferimento. L’IA è uno strumento particolarmente utile da inserire all’interno della gestione della produzione della comunicazione in caso di crisi, ma è anche un elemento che in qualche maniera favorisce o entra nella dinamica stessa della crisi. Perché non ci dimentichiamo che IA non è solo ChatGBT, si pensi a tutto il mondo algoritmico che gestisce le piattaforme, che hanno un ruolo enorme da un punto di vista tecnico e operativo nella diffusione e nello sviluppo di una crisi.
Perché questo risalto alla “percezione” tra le varie dinamiche sociali che si innescano nei social e nell’infosfera digitale? Non c’è più una oggettività su ciò che ‘grave’ e davvero notiziabile e degno di attenzione e ciò che non lo è?
Questo è il cuore del mio ragionamento. Io metto in risalto la percezione, perché in realtà oggi la percezione è il motore delle crisi. La percezione, però, intesa come giudizio che i pubblici danno di ciò che vedono. Noi oggi, grazie al digitale, giudichiamo tutto quello che vediamo, tutto quello che ci appare davanti agli occhi. Che sia un incidente, o che sia una dichiarazione, uno spot pubblicitario, un post sui social. Tutto ciò che un’azienda, un brand, un’organizzazione, un personaggio, una persona fa è sotto gli occhi di tutti. Da questo punto di vista viviamo in un mondo trasparente. E la trasparenza di questo mondo fa sì che tutti giudichino quello che vedono. Questo è l’enorme cambiamento in atto e per questo era necessario scrivere un saggio da questa angolazione. Perché oggi cosa sia una crisi non lo decide più il sistema mediatico, non lo decidono più i giornalisti. Cosa era una crisi, prima, doveva necessariamente essere notiziabile giornalisticamente, e quindi esisteva una sorta di modello deterministico, che tutto ciò che poteva diventare notiziabile giornalisticamente poteva, con alcune caratteristiche, diventare una crisi. Questo faceva sì che il mondo delle crisi fosse dentro al mondo mediatico, dentro al mondo giornalistico, e quindi fosse anche una grandezza più controllabile per i comunicatori, per i crisis manager, perché le casistiche erano identificabili e prevedibili. C’era una sorta di book, di elenco, di archivio di casistiche che potevano essere in qualche modo utili perché si creasse una crisi e tutto ciò che non era notiziabile automaticamente non avrebbe mai potuto essere una crisi. Oggi che cosa succede invece? Succede che il giudizio su che cosa sia una crisi non è più in mano ai giornalisti, ma è in mano a tutti quanti noi. È un giudizio collettivo che si forma e che quindi fa saltare completamente il modello deterministico per sostituirlo con un modello probabilistico, cioè qualsiasi cosa probabilisticamente può diventare l’innesco di una crisi. Una dichiarazione, un outfit o un post sbagliato, una presa di posizione, l’incidente, tutto ciò che un’azienda, un brand, un personaggio fa e che viene mostrato – e quindi diventa visibile – può diventare potenzialmente causa di crisi. Tutto questo si basa sulla percezione e qual è il meccanismo? È il modo in cui i pubblici percepiscono ciò che vedono e lo giudicano. Questo è un elemento particolarmente diverso e innovativo, perché scardina completamente tutte le regole e tutte le dinamiche che hanno sempre mosso il crisis management e la crisis communication. Non c’è più quindi un’oggettività, non c’è più una prevedibilità, tra virgolette, "scientifica". C’è una dimensione probabilistica, che dobbiamo imparare a comprendere, perché l’unico modo per gestire bene le crisi è quello di prevederle e quindi di attrezzarsi in funzione della possibilità che accadono.
Un esempio per tutti?
Ai miei studenti faccio spesso questo esempio. A dicembre scorso, un pullman di linea è precipitato da un cavalcavia di Mestre, provocando purtroppo decine di vittime. Un incidente gravissimo, che ha coinvolto l’azienda proprietaria del bus, il Comune di Venezia, le persone, i soccorritori, il classico caso che avrebbe potuto innescare una crisi perché ha avuto rilevanza mediatica, e perché purtroppo ha provocato vittime. Eppure, quell’evento è rimasto non più di una settimana, forse dieci giorni, all’interno della copertura mediatica e nelle conversazioni sui social. Chiara Ferragni, che certo non ha provocato la morte di nessuno, né fatto subire danni così gravi a cose e persone, è ancora oggi protagonista, dopo tre mesi dai fatti che l’hanno coinvolta, delle conversazioni e della copertura giornalistica. Ecco, questo che sembra un enorme paradosso, in realtà è la rappresentazione, l’esempio plastico, del fatto che oggi non conta ciò che effettivamente accade, ma conta come stakeholder e audience vivano e interpretino ciò che accade. Si potrebbe addirittura esagerare e dire che non conta ciò che effettivamente accade, ma conta ciò che stakeholder e audiencecredonostia accadendo: il giudizio che danno a ciò che credono stia accadendo è il vero innesco della crisi e non la gravità oggettiva del fatto in sé.
È davvero possibile, quindi, “governare” la percezione? Che in sé è sempre soggettiva e parcellizzata?
Sì, è possibile governare la percezione, ed è quella la nuova e reale skill professionale di cui ci dobbiamo impadronire. Governare la percezione significa ragionare in termini non di informazione durante una crisi, non di correzione dei flussi informativi, non di prevedere di aggiungere informazioni e notizie all’interno del modulo delle informazioni e delle notizie che gli stakeholder e le audience hanno rispetto ad un fatto. Significa lavorare su come le persone interpretano e vivono quel fatto, cercando di cambiarne il percepito, di cambiarne la convinzione. In realtà la crisi oggi non è un fatto in sé, la crisi è sempre mossa dalla delusione delle aspettative degli stakeholder. Ed è su questa delusione su cui noi dobbiamo lavorare, cercando di spiegare, e dimostrare soprattutto, a stakeholder e audience, che, seppure delusione ci sia stata è stato per un errore, che l’azienda, il brand, l’organizzazione ha capito profondamente l’errore e sta facendo di tutto perché non accada più, raccontando esattamente cosa sta facendo per porre rimedio all’errore in cui è incappata e risolvere la situazione. Non siamo di fronte ad un’operazione di costruzione dell’informazione, siamo di fronte ad un’operazione di costruzione della rappresentazione; quindi tutto ciò che noi facciamo durante la gestione di una crisi ha e deve avere un valore simbolico per gli stakeholder e le audience a cui ci rivolgiamo. È quello il modo che abbiamo per governare la percezione: gestire e governare i simboli che noi opponiamo, presentiamo, ai nostri stakeholder e alle nostre audience.
Come intervenire prima che la frittata sia fatta? Ci sono avvisaglie della crisi incombente? E come è possibile prevenirla?
Intervenire prima che la frittata sia fatta significa essenzialmente prepararsi. Perché non sempre è possibile prevedere il singolo avvenimento. La crisi, come dico sempre, si affronta quando non c’è: bisogna prepararsi a monte, dobbiamo strutturare all’interno delle aziende i processi precisamente, le strutture che vanno coinvolte nel momento in cui scoppia una crisi, vanno mappati i rischi reputazionali e per ognuno dei rischi vanno predisposti dei piani di reazione che poi devono essere attivati nel momento in cui il caso si presenta. Solo così, e dopo aver formato, e fatto esercitare, le persone a gestire una situazione di crisi e quindi a gestire lo stress, la pressione, le problematiche, allora, a quel punto possiamo essere pronti a comprendere e ad affrontare una crisi. Esistono i segnali deboli, certo, che possono essere, se ben interpretati, gestiti prematuramente per evitare che una crisi scoppi. Un’altra cosa importantissima è tutta l’attività di risk prevention, cioè l’analisi da un punto di vista del rischio reputazionale e della reazione che potranno avere gli stakeholder e le audience rispetto a qualsiasi tipo di azione che un’azienda possa mettere in atto. Una scelta industriale, una campagna pubblicitaria, tutto deve essere letto, analizzato e valutato in funzione del possibile impatto interpretativo che potrà avere su stakeholder e audience. Per far questo è necessario conoscere profondamente stakeholder e audience, analizzarli, e in questo l’Intelligenza Artificiale ci può essere di grandissimo aiuto per gestire la vasta mole di dati che il digitale ci restituisce e quindi per comprendere nel profondo quali siano le dimensioni valoriali e identitarie dei pubblici di riferimento. E l’Intelligenza Artificiale ci può essere di grande aiuto anche a monitorare costantemente i trend, per intercettare quelli che possono essere i segnali deboli, che possono via via emergere e poi, se raggiungono un certo tipo di volume, diventare un problema oggettivo e quindi un possibile innesco della crisi.
Cosa c’è dietro a questo nuovo "Modello di Risposta alle Crisi Reputazionali. MRCR", che descrivi nel libro? E a cosa o a chi è applicabile?
L’MRCR è un modello che io ho costruito sulla base dell’esperienza diretta e del lavoro di anni. Dietro c’è la consapevolezza che le crisi sono diverse rispetto a quelle dell’era pre-digitale, che il digitale ha modificato profondamente non tanto e non solo la dinamica della crisi, ma ha modificato il modo stesso in cui la crisi nasce, si sviluppa e termina. Basandosi tutto sulla percezione di audience e stakeholder, questo ci impone un modello che integri in maniera unitaria non solo le competenze tecniche, ma anche le competenze organizzative. Come detto, la crisi si affronta quando non c’è. È un modello quindi che tiene in sé la parte pre-crisi, organizzativa, predittiva, formativa che tutte le aziende dovrebbero seguire per prevenire e prepararsi alle crisi; poi la parte di reazione alla fase acuta della crisi, quando la crisi scoppia, basata non sul costruire un modello informativo, ma un modello di risposta che sia percettivo, che quindi lavori sulla percezione di stakeholder e audience e non semplicemente sulla costruzione dei flussi di informazione. E infine è un modello che tiene in sé la parte finale del dopo-crisi, che permette un’attività di recovery sulla base dei dati, sulla base dell’analisi. E tutto questo è all’interno di un unico modello che è appunto l’MRCR, Modello di Risposta alle Crisi Reputazionali.
In cosa si differenzia dal modello tradizionale di risposta alla crisi?
Le differenze rispetto al modello tradizionale di risposta alle crisi sono sostanzialmente tre. La prima è che il modello si basa, come detto, sulla gestione della percezione e quindi cambia l’approccio, che parte dal presupposto che la crisi in sé non sia legata all’evento, ma sia legata a come il pubblico viva l’evento. Secondo elemento di differenza è che si basa completamente su una visione complessiva di tutto ciò che bisogna mettere in atto per gestire una crisi, a partire dal crisis management stesso, che rappresenta di per sé un atto comunicativo. E quindi integra il crisis management nella crisis communication, dove è la crisis communication a rappresentare un approccio complessivo di cui il crisis management è parte e non viceversa. Tutto questo perché se dobbiamo governare la percezione qualsiasi cosa facciamo ha un valore simbolico e percettivo appunto. Il terzo elemento di differenza è che questo modello integra ed inserisce strumenti completamente nuovi: l’Intelligenza Artificiale, innanzitutto, la gestione e la lettura dei dati, tutta la parte predittiva che l’IA ci permette di ottenere. Da tutto questo nasce un modello che si differenzia molto da quello tradizionale.
L’Intelligenza Artificiale è parte importante quindi di questo modello o comunque già delle strategie attuali di contrasto da parte di una azienda o di una organizzazione ad una crisi reputazionale. In che modo?
Sì, l’Intelligenza Artificiale, come dicevo, è parte integrante di questo modello. Non perché vogliamo demandare ad essa la gestione della crisi o la costruzione della comunicazione di crisi, quanto perché è uno strumento potentissimo per ampliare e amplificare le nostre capacità, innanzitutto di analisi, perché è in grado di gestire, analizzare e trarre senso da grandissime quantità di informazioni e quindi ci permette di fare velocemente e con maggiore precisione ed efficacia operazioni che prima facevamo con minore velocità ed efficacia; poi perché ci permette di costruire dei prelavorati e quindi ci consente di essere più veloci e tempestivi nella produzione di contenuti che possono avere quell’impatto percettivo importante; e perché, nella fase di post-crisi, quindi di recovery, ci permette di analizzare cosa è successo, di comprendere nel profondo l’accaduto e quindi di costruire strategie di recupero, di riposizionamento, di ripristino della reputazione ancora più efficaci.
A volte abbiamo la sensazione, nei media digitali, di restare in superficie, galleggiando, ostinatamente presenti ma tra onde che rischiano di ingrossarsi. Questo libro quindi davvero può aiutare ognuno di noi a navigare nell’infosfera, con consapevolezza e accortezza?
La sensazione è quella. Questo libro paradossalmente non si rivolge solamente alle aziende. Innanzitutto alle aziende, certo, ma il testo contiene in realtà, al netto dei modelli organizzativi, degli strumenti che mette in campo, un approccio mentale, un mindset che tutti quanti noi dovremmo utilizzare, sia che siamo all’interno di un’azienda, sia che siamo consulenti o singole persone, professionisti. Perché siamo tutti esposti. L’esempio delle due ristoratrici, quella che purtroppo poi si è suicidata e quella che è stata travolta da una scia di odio dopo la sua partecipazione alla trasmissione “4 ristoranti” è l’esempio che la dinamica di una crisi reputazionale non è appannaggio esclusivo delle aziende. È un problema di tutti quanti noi, chiunque può rimanere coinvolto in una crisi reputazionale e il libro, se letto in quest’ottica, fornisce un mindset, una struttura organizzativa di processo che tutti noi possiamo e dovremmo, secondo me, utilizzare. A partire dallo stare attenti a quel che si dice, a conoscere i nostri pubblici, dal cercare di chiedersi sempre che tipo di effetto potrà avere su quei pubblici quello che andiamo a dire, a scrivere, i contenuti che andiamo a produrre e veicolare. Certo molti di noi lo fanno, oggi però dobbiamo farlo consapevoli che siamo tutti in una casa di vetro e tutti esposti.
Per i comunicatori di oggi e di domani: quale formazione?
Percorsi di formazione specifici. Personalmente sto organizzando con un’importante università italiana e con un altrettanto importante professore universitario una scuola di Alta Formazione in crisis management, che probabilmente vedrà la luce alla fine di quest’anno, perché la complessità di questo fenomeno richiede una formazione specifica. Quello che posso dire ai colleghi e ai professionisti è che serve essere aperti, serve aggiornarsi, serve soprattutto imparare a vedere le cose in un’ottica diversa: non mettere, paradossalmente, l’azienda al centro, ma mettere i pubblici al centro, le loro sensibilità, le loro caratteristiche, le loro scale valoriali, i loro modelli comportamentali. Se noi partiamo da questo avremmo fatto già un grande passo avanti, che ci permetterà di affrontare in maniera più efficace situazioni che, quando accadono, sono devastanti. Come abbiamo visto dagli esempi recenti.
Nel futuro, con l’evoluzione ancora ‘misteriosa’ dei media tradizionali e quella costante dei social media, dobbiamo aspettarci una necessità sempre più pressante di team dedicati alla gestione di queste crisi (o caos?) in aziende e organizzazioni?
In futuro ci dobbiamo aspettare il consolidamento di queste figure professionali e organizzazioni interne alle aziende che si occupino di questo nello specifico, perché la tendenza sarà sempre più quella di un’infosfera nella quale le persone si dedicheranno non tanto alla costruzione di una comunicazione quanto piuttosto si limiteranno ad assistere da spettatori a quello che accade e a giudicare quello che vedono. Tutto questo richiederà uno sforzo enorme da un punto di vista creativo e organizzativo per affrontare un mondo che si baserà sempre di più sull’apparenza, intesa come ciò che apparirà davanti agli occhi, e quindi sulla nostra capacità di intercettare, capire e comprendere il modo in cui le persone reagiscono e rispondono a quel che vedono. Tutto questo con una velocità e un livello di performance professionale sempre più alti e in questo senso abbiamo bisogno, sicuramente, di strutture e professionalità dedicate
E nel tuo futuro invece? La scuola di Alta Formazione e...?
Vedo un futuro personale sicuramente legato allo sviluppo del modello e alla attività di imprenditore nella mia società specializzata in crisis communication, The Magician, dove già seguiamo alcuni clienti con questo approccio; l’impegno poi per la scuola di Alta Formazione di cui dicevo, e, tra qualche tempo, un nuovo libro, dove affrontare e analizzare proprio questo cambio di utilizzo dell’informazione da parte degli utenti, sempre meno engagement e sempre più experience. Più in generale, i miei programmi sono quelli di continuare ad approfondire, continuare ad incuriosirmi e contribuire così, nei limiti delle mie possibilità, alla crescita scientifica di una professione come la nostra, che è bellissima.
L’appuntamento
Martedì 19 marzo 2004 alle ore 17.00 a Roma, appuntamento con l’Autore – evento patrocinato da FERPI Lazio – presso l’Istituto della enciclopedia italiana Treccani (Piazza dell’Enciclopedia italiana,4) con “Reputazione e crisi: nuovi scenari fra digitale e giornalismo”. Dialoghi in occasione della pubblicazione del libro, aperti dai saluti di Serena Bianchini, Delegata FERPI Lazio, moderati da Giuliana Carosi, giornalista e CEO di BiWise, con Massimo Cerofolini (giornalista, conduttore radiofonico), Bruno Mastroianni (giornalista e docente), Giusi Gallotto (CEO Nuove Reti) e Daniela Poggio (Vicepresidente FERPI). Per partecipare, clicca qui.