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Ha ancora senso parlare di privacy nel 2019?

#Ferpi2Be

19/07/2019

Sara Giovanardi

Oggi una vita senza condivisione e senza social sembra impensabile. Ma in che modo tutto ciò influenza la nostra quotidianità e la nostra sicurezza? Una riflessione di Sara Giovanardi.

Per Treccani con il termine privacy si intende “la vita personale, privata, dell’individuo o della famiglia, in quanto costituisce un diritto e va perciò rispettata e tutelata”; per Google è “l'ambito gelosamente circoscritto della vita personale e privata”; e ancora per Wikipedia “il diritto della persona di controllare che le informazioni che la riguardano vengano trattate o guardate da altri solo in caso di necessità”. Molte definizioni, un unico significato condiviso: le informazioni private e personali devono essere tutelate.

Nel 2019 si vive di social, di condivisione, di sguardi alla vita altrui, e tutto ciò stride non poco con il termine appena analizzato. Ci troviamo in una realtà in cui condividere è più importante che vivere, una realtà in cui una nuova esperienza la si immortala ancora prima di godersela.

È il naturale risultato del progresso. In ogni ambito della società la tecnologia ha assunto un ruolo fondamentale, affiancandoci - e in alcuni casi sostituendoci - nelle attività di ogni giorno. Gli ultimi dispositivi hi-tech sono ormai un prolungamento dei nostri arti a cui difficilmente rinunciamo, e ciò non può che influenzarci, a volte negativamente, a volte positivamente.

Questo continuo bisogno di essere online e di sentirci parte di qualcosa di più grande condiziona e addirittura plagia il nostro modo di vedere la realtà, oggi misurata in termini di Views e Likes, piuttosto che di sorrisi e brividi.

Sentiamo il bisogno di comunicare condividendo tutto ciò che ci riguarda: il luogo dove ci troviamo, una foto privata, un numero di telefono, aprendo così una porta sulla nostra vita a chiunque abbia un collegamento internet. I nostri dati possono essere poi usati in ogni modo, dal più semplice e quasi innocuo call center, al venditore, all’adescatore, all’hacker. Ci priviamo volontariamente della nostra privacy senza neanche rendercene conto, esponendoci a rischi di cui siamo inconsapevoli o che ignoriamo.

Il 2018 ha rappresentato per il tema un punto di svolta: il caso Cambridge Analytica ha stravolto totalmente il rapporto tra gli utenti e i social media.

Cambridge Analytica, società di consulenza britannica fondata nel 2013, è finita nell’occhio del ciclone dopo esser stata accusata dal The New York Times e dal The Observer di aver utilizzato senza autorizzazione informazioni personali di più di 50 milioni di utenti americani, ottenute tramite Facebook per profilazione e scopi politici; inoltre la stessa piattaforma di Mark Zuckerberg è stata accusata di essere a conoscenza della violazione da ben due anni, e di non essere in nessun modo intervenuta. Il “Facebook-gate” è stato un fulmine a ciel sereno per la maggior parte degli iscritti al social, e ha portato sotto i riflettori la necessità di una disciplina condivisa riguardante la raccolta e l’uso dei dati online.

Cos’è cambiato in questi mesi? Come vengono protetti oggi i nostri dati?

Dal 25 maggio 2018 è diventato pienamente operativo il GDPR (General data protection regulation), il regolamento europeo su privacy e dati che punta ad uniformare le leggi europee sul trattamento dati e il diritto di avere pieno controllo delle informazioni che ci riguardano. In questo diritto rientra ad esempio il diritto all’oblio, che permette agli utenti di richiedere la rimozione di informazioni che li riguardano; il diritto alla portabilità dei dati, che consente di scaricare e trasferire dati da una piattaforma all’altra senza dover per forza creare un account, e quindi inserire i propri dati; e il diritto di essere informati in caso di data breach: le aziende infatti sono ora obbligate a comunicare agli utenti furti di informazioni sensibili entro 72 ore dal fatto.

Per promuovere un uso sicuro e responsabile di Internet e dei Nuovi Media da parte dei più giovani è stato creato, tra i tanti, un progetto cofinanziato dall’Unione Europea dal nome Generazioni connesse (Safer Internet). Si tratta del Centro Nazionale per la Sicurezza in Rete, in cui vengono realizzati programmi di educazione e sensibilizzazione a livello nazionale. È poi stata attivata una helpline per supportare adolescenti che hanno avuto esperienze negative legate alle nuove tecnologie, e due hotline per la segnalazione di materiale pedopornografico.

Oggi, comunicare tramite internet e i social è la chiave di molti lavori, essere pubblici espone a tanti rischi quanti le possibilità che crea. Condannare ogni piattaforma riconducendola al caso Facebook è un errore, ma è necessario essere a conoscenza di ogni possibile strada che i nostri dati possano prendere una volta caricati.

In un mondo in cui siamo tutti connessi e sotto l’occhio onnipotente di Internet, prendere coscienza delle minacce a cui ci esponiamo è necessario. Dobbiamo essere in grado non solo di proteggere la nostra privacy, ma dobbiamo acquistare abbastanza consapevolezza per non essere noi in primis a rappresentare un pericolo.

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