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Crisi libica: la comunicazione schizofrenica dell’Italia

28/03/2011

Le vicende belliche in corso sull’altra sponda del Mediterraneo stanno occupando da settimane un posto di rilievo nell’agenda dei media nazionali ed internazionali. Alcuni aspetti però colpiscono: da un lato l’anomala assenza di immagini, dall’altra l’approccio italiano alla comunicazione, scomposto e privo di un coordinamento. La riflessione di _Patrick Trancu._

di Patrick Trancu
Ancora una volta una crisi internazionale offre interessanti spunti di riflessione sulle strategie di comunicazione adottate dalle parti in causa. In questo post desidero soffermarmi su due aspetti che mi hanno colpito.
Uso delle immagini: forse non tutti hanno notato che in questa circostanza, a differenze di altri eventi (vedi Afghanistan o Iraq) non sono state rilasciate immagini video di lanci di missili Tomahawk o di bombardamenti. Il servizio stampa della US Navy si è limitato a rilasciare un paio di scatti dalla USS Stout presente nel mediterraneo. Sul sito della marina, oltre a 4 comunicati stampa e un paio di foto, segnalo il TG redatto dalla stessa marina che, sorpresa, non contiene immagini video dell’attacco.
La decisione da parte della autorità militari americane, ma anche di quelle francesi, di non rilasciare filmati è chiaramente strategica e probabilmente finalizzata a minimizzare la portata degli avvenimenti, almeno nella narrazione video. Un cambio di strategia forse obbligato a fronte delle precedenti esperienze, ma anche alla luce della natura dell’operazione stessa e del messaggio che si cerca di articolare nei confronti dell’opinione pubblica.
La seconda riflessione riguarda l’approccio italiano alla comunicazione. Ancora una volta si evidenzia una completa mancanza di coordinamento nella gestione della comunicazione, lasciata ai singoli senza alcuna regia. Così per giorni abbiamo assistito alle dichiarazioni del Ministro degli Esteri Frattini, del Premier Berlusconi, del Minstro della Difesa La Russa, ognuno impegnato a “cantare” da uno spartito diverso. A questo si sono affiancate le dichiarazioni di diversi esponenti dell’aeronautica italiana (senza tuttavia capire bene a che titolo parlassero alcuni di loro).
L’apice di questa confusione comunicativa lo abbiamo raggiunto ieri (N.d.R. 21 marzo 2011) con un’intervista ripresa oggi su diversi quotidiani a Nicola Scolari, maggiore dell’aeronautica e uno dei piloti (!) che hanno partecipato alle operazioni nei cieli libici, che ha spiegato ai giornalisti la sua missione (ed oggi è stato rispedito a Piacenza, trasferimento deciso dopo le dichiarazioni rilasciate alla stampa e apparentemente in contrasto con il comunicato stampa emesso dallo Stato Maggiore della Difesa alle 23,30). Comunicato, quello dello Stato Maggiore, che secondo quanto scrive Repubblica oggi (pp. 12) forse conteneva, secondo fonti dello stesso Stato Maggiore, “un misunderstanding”. Di quale misunderstanding si tratti è difficile capirlo visto che i comunicati sul sito del Ministero della Difesa sono fermi al 7 marzo!
Intanto sempre sul caso Scolari, secondo TMNews, “il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha chiesto ieri a tutti gli uomini delle Forze Armate italiane di evitare commenti e dettagli sulle operazioni, in considerazione della delicatezza dell’argomento” (???!!!).
Mentre nei giorni scorsi andava in scena questa pantomima degna di un paese del quarto mondo, le televisioni riprendevano immagini appena fuori dal perimetro degli aeroporti militari di Trapani (37° stormo Aeronautica Militare), che mostravano gli *F-16 * e i Tornado Ecr italiani pronti al decollo mentre i sopra citati attori della comunicazione dichiaravano che il nostro paese aveva solo messo a disposizione le basi.
In quattro giorni gli italiani non hanno assistito ad un briefing formale da parte delle autorità politiche e/o militari che fornisse loro spiegazioni e li aggiornasse su quanto accadeva in Libia e sul ruolo dell’Italia. Siamo invece stati bombardati da dichiarazioni rese (dai nostri politici) in mezzo alla strada o nelle occasione più disparate e davanti a recinzioni di aeroporti militari (da parte di diversi esponenti dell’aeronautica). Ciascuno impegnato a rendere dichiarazioni in contrasto una con l’altra e con le immagini che venivano trasmesse.
La centralizzazione del flusso di comunicazione è la prima regola di una corretta comunicazione di crisi. La seconda è l’identificazione di un portavoce. La terza è un’adeguata preparazione. La quarta è quella di attenersi ai fatti. La quinta è quella di avere una comunicazione coerente.
Ancora una volta da specialisti della comunicazione e da comuni cittadini assistiamo basiti alla completa impreparazione alla comunicazione di crisi da parte delle nostre autorità di governo e militari. Per non parlare dell’uso delle nuove tecnologie…
Tratto da Sitting Duck
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