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Biodiversità e Immagine

29/07/2010

A Cagliari intellettuali ed esperti si sono confrontati sul tema internazionale dell’anno: la biodiversità, un concetto ancora da scoprire ed approfondire.

di Pina Monni
L’Assemblea Generale dell’ONU ha proclamato il 2010 Anno Internazionale della Biodiversità, ponendo all’attenzione del mondo intero la questione del ruolo chiave della biodiversità e della salvaguardia degli ecosistemi per il benessere umano.
Ma da una ricerca condotta di recente da un’organizzazione operante per la Commissione europea, è emerso un dato abbastanza allarmante: solo un terzo dei cittadini europei crede di sapere il significato di biodiversità o di conoscerne i benefici. Molti associano il termine a concetti di natura incontaminata, flora e fauna di luoghi lontani, e sono così indotti a pensare che la biodiversità non li riguardi direttamente, soprattutto se abitano in centri urbani.
Il Consiglio europeo ha anche sottolineato l’importanza di un coinvolgimento dei cittadini europei nella conservazione della biodiversità e la necessità di adottare azioni di informazione e comunicazione per sensibilizzare e incoraggiare la formazione dell’opinione pubblica, nonché di promuoverne la partecipazione attiva nel campo della biodiversità per una maggiore consapevolezza della relazione tra benessere degli ecosistemi e benessere della nostra specie tenendo conto delle varie situazioni e bisogni locali.
Partendo dalla considerazione che qualsiasi strategia o azione sul tema della biodiversità non è attuabile se le comunità e i singoli individui non prendono coscienza del suo valore o del legame che hanno con essa o degli effetti causati dai loro comportamenti sulle varie componenti della diversità biologica, si inserisce il convegno-dibattito Biodiversità e Immagine che nel mese di giugno ha riunito, in piazza del Carmine a Cagliari, esperti, accademici, comunicatori e artisti provenienti dal territorio nazionale per tentare di offrire un contributo critico propositivo e aiutare la Terra, in particolare quella sarda, a tutelare e conservare tutte le sue componenti di diversità biologica e culturale.
L’evento organizzato dall’Associazione Culturale Caffè dell’Arte di Cagliari, patrocinato da Comune di Cagliari, Fasi (Federazione delle Associazioni Sarde Italiane), Ferpi (Federazione Relazioni Pubbliche italiane) e Fondazione Diritti Genetici, e con il contributo di diversi enti pubblici e privati, ha costituito un importante momento di riflessione e discussione tra relatori e pubblico su come la biodiversità influisce di fatto sulla vita e sul benessere di ogni cittadino e allo stesso modo la sua perdita e tutte le interconnessioni con gli esseri umani si ripercuotano negativamente sui servizi ecosistemici e sulla vita delle persone (dalle acque ai rifiuti, dall’approvvigionamento alimentare alla nutrizione, dalla salute agli adattamenti climatici, dalle tradizioni alle identità culturali). È stata anche un’occasione di coinvolgimento di grande pubblico, famiglie, media, policy makers, durante la quale si è potuto rilevare il ruolo fondamentale che gioca Sardegna nel capitale naturale italiano di biodiversità, peraltro il più ricco d’Europa. L’isola presenta, infatti, un’ampia varietà di patrimoni genetici, organismi viventi e complessi ecologici e culturali unici solo nel proprio territorio.
Nel corso della sessione dei lavori, moderati da Giorgio Opisso (Consigliere Nazionale Ferpi), si sono succeduti gli interventi di Franco Sedda (Presidente dell’Associazione Culturale Caffè dell’Arte), Alberto Scalas (pittore e Direttore artistico dell’Associazione Culturale Caffè dell’Arte), Mario Capanna (Presidente della Fondazione Diritti Genetici), Tonino Mulas, Presidente della FASI (Federazione delle Associazioni Sarde in Italia), Nicolò Migheli (sociologo rurale), Andrea De Plano (antropologo, esperto di musica sarda e del canto a tenore), Efisio Perra (responsabile economico Coldiretti Sardegna), Murales di Orgosolo (canto a tenore), Blues After Crime (complesso di musica blues).
Aprendo il convegno, Franco Sedda nel ringraziare il numeroso pubblico intervenuto nonostante un’inaspettata giornata di pioggia per un periodo tipicamente estivo, ha soprattutto espresso riconoscimento alle Istituzioni pubbliche e imprese partners che con il loro impegno e sensibilità hanno sostenuto e reso possibile la realizzazione dell’iniziativa. Secondo Sedda ciò che caratterizza questo appuntamento è la partecipazione attiva dei cittadini, i quali oltre all’utilizzo degli strumenti offerti dalle nuove tecnologie, sentono comunque l’esigenza di essere presenti e prender parte a momenti di incontro e confronto pubblico diretto che solo la “piazza” è in grado di concedere.
Nell’avviare la riflessione Alberto Scalas ha ricordato il titolo dell’evento proponendo una domanda: “cosa accomuna la biodiversità all’immagine?” Nulla se si guarda da un punto di vista metodologico, poiché la prima riguarda un campo essenzialmente scientifico, la seconda un ambito puramente culturale. Ma come le diversità biologiche si sono determinate nel corso dei millenni nei vari habitat, definendo innumerevoli culture (o colture) locali, così le immagini hanno avuto un percorso simile ed hanno contribuito a raccontare la storia e l’animo dei popoli che le hanno prodotte. L’analogia più evidente e, purtroppo, più attuale, riguarda però i pericoli di estinzione. Sfruttamento e distruzione dell’ambiente naturale, dell’agricoltura e dell’alimentazione tradizionale, dell’architettura, della musica popolare e dell’arte figurativa, non lasciano spazio alle culture e alle colture locali, spogliando e deprivando le popolazioni non solo delle risorse economiche ed alimentari, ma anche dell’identità culturale e allo stesso modo di ogni aspetto della vita delle diverse comunità come quello di ciascun individuo. Gli artisti, ingabbiati dalle grandi centrali internazionali dell’arte diventano muti, tutti gli altri incapaci di guardare, ascoltare, capire. Si va progressivamente inaridendosi una grande risorsa per gli uomini. Ci consola che la coscienza di ciò si sta diffondendo sempre di più, e che quest’ultima crisi economica mondiale, con tutte le sue conseguenze, costringe tutti ad una profonda riflessione sui modelli di sviluppo e sulle loro implicazioni a livello sociale e culturale.
Giorgio Opisso, della Ferpi, ha introdotto i lavori con la citazione dell’attivista aborigeno Bobby Mcleod: “quando la terra è malata e inquinata, la salute degli uomini è impossibile… Per guarire noi stessi dobbiamo guarire il pianeta, e per guarire il pianeta dobbiamo guarire noi stessi.”. Poi, favorendo l’avvio delle relazioni, ha fatto rilevare alcuni dati decisamente allarmanti: in un secolo si sono estinte trecentomila varietà vegetali e continuano a estinguersi, al ritmo di una ogni sei ore. Un terzo delle razze autoctone bovine, ovine e suine è estinto o in via di estinzione. Il 75% delle riserve di pesce del pianeta, se non si interviene rapidamente, rischia di scomparire. Ogni giorno spariscono nel mondo circa 100 specie biologiche e se a queste si aggiungono le specie potenzialmente minacciate, stiamo andando velocemente verso la riduzione del capitale naturale senza neppure renderci conto di cosa stiamo perdendo e del suo reale valore. Il nostro ecosistema e le risorse naturali sono alla base delle economie, dei sistemi sociali e del benessere umano, i cui benefici sono spesso mal compresi o trascurati nelle scelte quotidiane di amministrazioni pubbliche, imprese e cittadini.
Riprendendo quanto espresso da Opisso, Mario Capanna, Presidente della Fondazione Diritti Genetici, ha ribadito che negli ultimi quattro secoli si sono estinte per cause antropiche un numero rilevante di specie di vertebrati, invertebrati e piante. Inoltre ha fatto presente che si ipotizzano ritmi di estinzione con un incremento di 10 volte rispetto a quelli attuali. La miopia collettiva di questi ultimi decenni ha impedito di prendere coscienza degli effetti che la cosiddetta “crescita” del mondo occidentale ha avuto sui sistemi naturali e agricoli del pianeta. La stessa cultura dell’Occidente, costruita pensando agli esseri inanimati e viventi come soggiogabili e accaparabili, distruggibili e creabili, sfruttabili e dominabili, ha trascurato gli equilibri che ne stanno alla base e ne determinano le condizioni di vita. Secondo Capanna «l’uomo è più stupido di una lumaca che sa quando smettere di produrre il guscio per proteggersi, altrimenti, arrivati a un certo punto, se non ne fermasse la costruzione il peso della conchiglia la schiaccerebbe». Erodendo la biodiversità grazie al dominio devastante del profitto, abbiamo impoverito colture e culture, alterando, a un livello di intensità mai raggiunto prima, la coesistenza tra le varie forme di diversità biologica, fino al rischio estremo dei cambiamenti climatici. I 2.500 scienziati, che operano per conto dell’ONU, in modo unanime, ci avvisano che i mutamenti climatici sono prodotti, per circa il 90%, dalle attività umane, ovvero dall’attuale modello di sviluppo a produzione distruttiva, e ci ammoniscono che secondo questo agire siamo giunti «alle soglie dell’irreversibile, che non è più il tempo delle mezze misure e che sono indispensabili tre rivoluzioni: la rivoluzione delle coscienze, la rivoluzione dell’economia, la rivoluzione dell’azione politica». Abbiamo sotto gli occhi il fallimento dell’irrazionalità della società moderna, piena di contraddizioni. Ragioniamo ad esempio sul disastro del Golfo del Messico: la tecnologia ci ha portato a scavare pozzi di petrolio in fondo al mare, ma, di converso, non disponiamo di altrettanta tecnologia capace di tappare il buco delle trivellazioni e rimediare ai danni catastrofici della fuoriuscita di milioni di metri cubi di petrolio che hanno inquinato mare e coste, distruggendo molte forme di vita e un’intera economia locale. Oggi, è’ necessario realizzare una società sostenibile, più tollerante nel suo impatto verso la natura, intendendo la biodiversità come garanzia di vita per tutti e per la terra. Quello che manca, secondo Capanna, è un’informazione diffusa e la consapevolezza, anche se per fortuna negli ultimi tempi molti stanno cominciando a chiedersi «Ma io cosa sto mangiando realmente? Come mi sto curando? Da dove proviene ciò che sto indossando?». Domande che sono indice del fatto che mai come adesso l’uomo sta toccando con mano i pericoli che minacciano la propria specie e tutta la terra, e vuole cominciare a partecipare ai processi decisionali. Capanna, invita dunque a riflettere e adottare una nuova concezione nel pensare e nell’agire comune. Si tratta di riconsiderare il modo di rapportarci con la realtà naturale, con i nostri simili, con la cultura, per arrivare a riformulare le possibili forme organizzative del futuro, persino del nostro stesso “sentire”, perché le diversità non vengano risucchiate nell’omologazione se non addirittura distrutte dalla mano dell’uomo. Partendo dal presupposto che l’informazione, il ragionamento critico e il coinvolgimento di tutti sulla diversità in ognuno dei suoi aspetti, da quella biologica a quella culturale ed economica, rappresenti la strategia essenziale di sopravvivenza e di successo evolutivo che ha il genere umano per confrontarsi con le opportunità e i rischi di un futuro imprevedibile, o si inizia praticamente a convivere con tutte le altre forme e specie di vita circostanti o non ci sarà domani.
Di attenzione e custodia della cultura, intesa in ogni sua espressione, da quella alimentare, alle tradizioni sino a quella del linguaggio, ha poi parlato Tonino Mulas, Presidente della Fasi, che con circa 70 associazioni di circoli di emigrati sardi presenti sul territorio nazionale, porta avanti l’opera di mantenimento dell’identità della Sardegna in Italia: «Le identità, quando non sono esasperazione, sono sempre una ricchezza, e nella globalizzazione un fatto da salvaguardare». I sardi emigrati nella penisola, ma anche le molte centinaia di migliaia di isolani che sono sparsi per il mondo, nutrono un grande interesse per quanto avviene nella nostra terra di origine, sia perché proviamo il senso del distacco e della lontananza, sia perché siamo inseriti in realtà e contesti decisamente differenti dai nostri, nei quali ci siamo ovviamente integrati molto bene, sia perché è in atto, a ogni livello, un forte processo di omologazione generalizzata. Per questo l’informazione continua e lo scambio di notizie tra noi e con la Sardegna, è uno dei fattori fondamentali al fine di tutelare, conservare e mantenere vivo il ricordo della nostra sardità.
L’intervento di Nicola Migheli come sociologo rurale ha posto l’accento sui pericoli che provengono dal ritiro sempre maggiore dalle attività agricole e dall’allevamento di bestiame, specie da parte dei giovani, e lo spostamento delle persone verso i centri urbani e costieri dell’isola. L’abbandono delle attività primarie è, infatti, la causa principale dello spopolamento dei territori centrali della Sardegna e del disuso delle terre che via via stanno divenendo saccheggio di chiunque voglia sottrarle ad una corretta gestione dell’ambiente, sino ad oggi deputata ed esercitata dall’uomo – contadino o pastore. Uomo che, in un certo senso, raffigurava l’elemento cardine, anzitutto tutore, del contesto nel quale egli stesso era parte integrante e da cui traeva sostentamento per sé e per l’intera comunità. Questo processo di migrazione sta generando non solo una perdita di cultura specifica e valori tradizionali caratteristici di quei luoghi, cioè di sapienze tacite di un mondo fatto prevalentemente di mestieri e lavori che, seppure con l’introduzione ricorrente di nuove conoscenze e tecnologie, si tramandavano di generazione in generazione, ma è, più di ogni altra cosa, una sottrazione di ricchezza economica. La scomparsa di saperi ed esperienze nei settori primari e trainanti dell’economia sarda, ad esempio: agroalimentare, lattiero-caseario, vitivinicolo, artigianato, risulta devastante per la produzione di reddito delle famiglie e per il benessere delle comunità degli stessi territori, i quali non saranno più in grado di differenziarsi né a livello di produzioni tipiche né sotto il profilo della identità, con notevoli restituzioni negative su altre attività connesse a tali settori, turismo compreso. Il rischio è di cadere nella standardizzazione e massificazione nella quale la sardità, in qualche misura fattore competitivo delle nostre produzioni, del nostro ambiente, della nostra cultura, delle nostre tradizioni si perde nel mare magnum della globalizzazione: «per capire le differenze di un popolo basta aprire il frigorifero: pensate che gli alimenti contenuti in quello dei tedeschi siano uguali a quello dei sardi?». Per Migheli sono necessarie delle forti spinte dal punto di vista politico. Nell’isola le imprese agricole e di allevamento sono travolte dai debiti – precisa – c’è un salto di guadagni dalla produzione alla commercializzazione del prodotto, e ricorda che al prezzo del latte è fermo a 20 anni fa con una remunerazione insufficiente a coprire i costi di produzione. Senza la ricostituzione del reddito, il settore agricolo sarà abbandonato da tutti, con una forte perdita in termini di biodiversità, e un disastro dal punto di vista della nostra economia.
Anche l’opinione di Efisio Perra della Coldiretti, si associa a quella di chi lo ha preceduto. Salvare l’agricoltura sarda e incentivare i giovani alle campagne è un’esigenza primaria della Sardegna, fermo restando il no deciso alla coltivazione di organismi geneticamente modificati. In proposito va ricordato che nell’isola gli Ogm non sono mai entrati grazie a Coldiretti Sardegna che è riuscita a sensibilizzare e coinvolgere quasi tutti i Consigli comunali della regione i quali avevano approvato un ordine del giorno per impedirne la coltivazione nel territorio di appartenenza. E sapere cosa stiamo mettendo nel nostro piatto diventa fondamentale. «Abbiamo iniziato una battaglia con iniziative di trasparenza e promozione di colture locali che cominciano a trovare il favore dei cittadini, spiega Perra. I mercati di Campagna Amica, ad esempio, sono un’occasione per conoscere i nostri prodotti e creare un tipo di domanda diverso, ma anche per rincontrarsi tra produttori e consumatori, rapporto che si era perso da tempo. Tra l’altro ciò riduce la filiera alimentare e calmiera i prezzi». Sulla stessa linea è, infatti, il nuovo ddl “farmer market”, di recente licenziato dal Consiglio dei Ministri che considera prodotti a km zero tutti quelli "provenienti da areali di produzione appartenenti all’ambito regionale in cui è ubicato il mercato agricolo di vendita diretta situati ad una distanza non superiore a 50 chilometri dal luogo in cui è effettuata la vendita». La conservazione e valorizzazione del paesaggio rappresentano poi una delle nuove sfide per l’agricoltura indicate dalla riforma comunitaria dell’Health Check. Una sfida che va interpretata sia in termini di difesa agro-ambientale, sia in chiave di marketing territoriale, per valorizzare i prodotti locali, la cui qualità è strettamente legata all’identità del territorio da cui provengono. A salvaguardia del paesaggio, sono previste azioni volte a promuovere l’adozione di pratiche agricole tradizionali particolarmente rispettose dell’ambiente, il recupero di manufatti rurali di pregio, il mantenimento delle sistemazioni agrarie caratteristiche di ogni area. La tutela della biodiversità è l’altra sfida indicata dalla Politica Agricola dell’Unione europea. La varietà di habitat e la presenza di numerose specie animali e vegetali assicurano all’Italia il primato nella scala mondiale della biodiversità. Il Piano Strategico Nazionale considera l’integrazione tra biodiversità e agricoltura uno degli obiettivi centrali da perseguire, riconoscendo all’agricoltura un ruolo fondamentale, sia per la conservazione, in azienda, delle specie vegetali e delle razze animali in via d’estinzione, sia per la tutela degli habitat ad alta valenza naturale. L’agricoltura a beneficio di tutti.
Di cultura ha poi parlato Andrea Deplano, antropologo, accompagnato dal coro di canto a tenore I Murales di Orgosolo, che ha evidenziato come la Sardegna, con una specificità così forte, non può restare insensibile al tema della biodiversità che riguarda non solo quelli che possono essere i prodotti, l’habitat, le colture locali, ma anche la cultura, la lingua, le tradizioni e l’arte in un intreccio indissolubile. Il canto a tenore è uno stile di canto che ricopre un ruolo importante nel panorama delle tradizioni sarde, sia perché espressione artistica di pura matrice isolana, esente da condizionamenti o influssi esterni, sia perché espressione sociale dell’idilliaco mondo agro-pastorale, strato sociale che simboleggia l’isola sotto ogni punto di vista, e sul quale il popolo sardo ha radicato le proprie origini.. Il quartetto che compone Su Tenore è formato da su bassu (il basso), sa contra (baritono), sa mesu boche (contralto) e sa boche (voce solista) che oltre a cantare la poesia deve scandire il ritmo e la tonalità che il coro vero e proprio deve seguire armoniosamente. Inserito dall’Unesco tra i Masterpieces of the Oral and Intangible Heritage of Humanity e perciò proclamato “Patrimonio intangibile dell’Umanità”, rientra appieno nello spirito della battaglia per promuovere la convivenza e l’armonia di tutte le specie viventi. «L’individuo non è più tessitore di relazioni sociali ma consumatore di prodotti. – ha spiegato De Plano – E’ necessario superare questo status per tornare ad essere liberi. Il canto ancestrale a tenore, mai contaminato da agenti esterni, evoca profonde differenze identitarie e può essere un modello di questa libertà perché ha una forte interazione con l’ambiente che lo circonda. Il basso e la contra, strumenti vocali propri dell’uomo, ricordano i suoni degli animali e dei monti sardi, si usano i codici dell’ambiente naturale, inoltre non c’è la prevaricazione di una voce sull’altra e questo ha una forte valenza educativa che può diventare una preziosa lezione per tutti».
(Si ringrazia per le immagini Giovanni Macciocco)
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