Federica Carini
Rieti, lo scorso 6 dicembre, ha ospitato un workshop per discutere le linee guida di una comunicazione responsabile in caso di disastri naturali. L'incontro è stato l’occasione per presentare il volume "Call to Action per una comunicazione responsabile nei disastri naturali. Verso la carta di Rieti", edito da BUP e curato da Domenico Pompili, Stefano Martello e Biagio Oppi.
Si è tenuto il 6 dicembre - al Palazzo Vescovile di Rieti - l’incontro su disastri naturali e comunicazione responsabile promosso dalla Diocesi di Rieti in collaborazione con BUP - Bononia University Press e Zerodotfour.
Oltre alla presentazione del volume "Call to Action per una comunicazione responsabile nei disastri naturali. Verso la carta di Rieti" - curato dal Vescovo di Rieti Domenico Pompili insieme a Stefano Martello e Biagio Oppi, al tavolo di confronto si sono susseguiti diversi interventi suddivisi in due sessioni: la prima incentrata sulla testimonianza di case history positive di resilienza e ascolto del territorio; la seconda sulla discussione di linee guida per una comunicazione responsabile in contesti di disastro.
Il lavoro sul tema della comunicazione responsabile in caso di disastri naturali è iniziato ormai sette anni fa in seno a Ferpi per poi estendersi e coinvolgere altre organizzazioni.
Il primo libro (Disastri Naturali: Una Comunicazione Responsabile?, curato da Biagio Oppi e Stefano Martello) dopo una serie di workshop, interventi, articoli, venne pubblicato nel 2016 con l’intento di comprendere la resa dello stile, del linguaggio e degli strumenti di comunicazione adottati nei terremoti dell’Aquila (2009) e dell’Emilia Romagna (2012). Dopo il terremoto del Centro Italia del 2016 però si è avvertita l’urgenza di mettere insieme le tante risultanze emerse dalle specifiche analisi che, per l’intenso livello di complessità, si celano dietro a ciascun evento naturale catastrofico e ai tanti ambiti e professionalità coinvolti nella gestione dell’emergenza.
A tal proposito Martello ha raccontato di come abbia notato, dal confronto con tanti interlocutori del processo di gestione e ricostruzione post-sisma, l’assenza di un processo di condivisione delle esperienze. “A volte assomigliamo a un arcipelago” la sua denuncia, “siamo tante isole dove ognuna di noi conosce l’esistenza delle altre ma nessuno perde tempo a prendere la propria barchetta e andare in esplorazione nelle altre isole per capire se si può imparare qualcosa da quello che stanno facendo lì, se si può offrire la propria esperienza o se insieme si può diventare più forti”.
Il nuovo volume presentato esprime dunque la consapevolezza che oltre alla sfera professionale della comunicazione, c’è un qualcosa di più che va assolutamente preso in considerazione e che coinvolge altri attori, altri professionisti e altre sfere che intervengono attivamente nella ri-costruzione delle comunità colpite.
Presenti tra il pubblico anche rappresentanti delle forze dell’ordine e delle istituzioni, la Diocesi di Rieti ospitando l’iniziativa si è fatta promotrice di un’azione concreta di sensibilizzazione sul tema. Molto positiva la loro partecipazione all’incontro, perché possono concretamente incidere sui processi di ricostruzione sfruttando le linee guida di una comunicazione responsabile nella gestione dei disastri naturali. Per Oppi l’attività di comunicazione “ha assunto un ruolo non più solo di trasmissione del messaggio ma di costituzione delle organizzazioni, della loro stessa governance: organizzazioni profit e non profit possono e debbono spiegare quello che fanno, il loro obiettivo e i valori che li sorreggono, rispondendo così alla necessità di essere legittimati dai propri stakeholder”.
Il Vescovo di Rieti, Domenico Pompili, ha sottolineato come il linguaggio del sensazionalismo, allarmistico e drammatico, comunemente utilizzato per descrivere i disastri naturali, non riesce a tenere il passo nel medio lungo periodo. Pertanto è importante supportare la comunicazione con dati condivisibili e comprensibili, confermati dalla comunità scientifica, che aiutino a leggere e a seguire meglio l’evolversi della situazione. “C’è un gap tra gli annunci fatti dalle istituzioni centrali, in particolare il Governo, e quello che poi viene operativamente tradotto nei singoli territori”, necessario quindi “sollecitare chi di dovere ad accorciare anche con una comunicazione adeguata le distanze che permettono di passare dalle parole ai fatti”.
Quello che emerge da diverse case histories ascoltate nel corso dell’incontro, è anche una mancanza di storytelling nel lungo periodo: un gap tra ciò che viene raccontato del tessuto sociale, culturale ed economico di ricostruzione post-sisma e ciò che avviene giorno dopo giorno nei territori resilienti. Infatti, come il Vescovo Pompili ha sottolineato, “è vero che siamo molto in ritardo ma è anche vero che tutti i giorni succede qualcosa che, anche se quantitativamente è poco, ci dice che si sta andando nella direzione auspicata; il fatto però che non ci sia nessuno a raccontarlo aumenta il clima depressivo e fa perdere di vista la speranza”. Appare chiaro dunque che una comunicazione responsabile dovrebbe farsi carico di dar luce a quei processi virtuosi che ogni giorno si muovono.
Massimo Alesii ricordando la notte del terremoto del 6 aprile 2009, “quando alle ore 3:32 il tempo si è fermato e si è pietrificato”, ha aperto la riflessione su quale può e deve essere la strada per tenere in piedi una comunità quando tutto crolla. Tante le storie che ha riportato, risultati straordinari di mantenimento della memoria collettiva possibili grazie alla resilienza cittadina. La ricostruzione e il restauro di Palazzo Ardinghelli, palazzo storico della città dell’Aquila, o della fontanella dell’angelo muto, cara a tutti gli aquilani, ne sono un simbolo. “Grazie a questi interventi”, come ha spiegato Roberta Cairoli di ArcheoRes, “oggi l’Aquila è dove il passato costruisce il futuro ed è stata restituita dignità ai luoghi che hanno costruito la cultura della città”.
Matteo Fortini, tra i fondatori del progetto di community Terremoto Centro Italia che è nato dall’urgenza di informare sugli ultimi eventi sismici che hanno colpito il Centro Italia, ha spiegato come esso sia stato avviato in poche ore su un gruppo Facebook e immediatamente - attraverso l’utilizzo dei vari canali social e della piattaforma open online creata ad hoc - sia diventato un punto di raccolta e condivisione di informazioni e segnalazioni sull’emergenza e post emergenza terremoto.
L’intento oggi è quello di rendere il modello il più possibile replicabile e utilizzabile in caso di futuri disastri.
L’esigenza di parlare del mondo non conosciuto della Protezione Civile e di contrastare le informazioni non corrette sulle sue attività, ha spinto Luca Calzolari a dare vita nel 2009 a Il Giornale della Protezione Civile. “Noi ci definiamo media civico, siamo indipendenti e facciamo presidio su quello che accade in rete e quello che viene detto, con la scelta di non lanciare mai informazioni che non siano verificate e di non utilizzare un linguaggio urlato, ostile” ha precisato. Quello che ha suggerito l’intervento è che può essere fatto un racconto dell’emergenza preventivo, quando quest’ultima non è ancora conclamata, spiegando che cosa significa gestirla e quali sono le problematiche. Si può lavorare affinché la società civile sia consapevole dei rischi a cui è sottoposta nel territorio in cui vive, legati a possibili calamità.
Giorgio Emili dell’agenzia stampa Telpress - ha portato i risultati di un’indagine sulle narrazioni che sono state fatte post-terremoto tramite monitoraggi di carta stampata e web, da cui emerge che se da un lato nelle situazioni di emergenza è più facile comunicare messaggi non corretti attraverso canali decisi perlopiù dai poteri più forti, dalla politica, dall’altro la verità tende a riemergere nel lungo periodo. “Quello che racconta la stampa è una verità che si costruisce strada facendo” ha spiegato Emili auspicando che si raggiunga “quel punto di verità che sia di supporto per la cittadinanza, in cui il vero e il fatto coincidano” e in cui vengano considerate anche la dignità, il rispetto delle persone e le loro necessità.
Il dato qualitativo interessante che ha fornito l’analisi è che gli articoli riguardanti il terremoto di Amatrice e del Centro Italia, presenti oggi nella stampa, sono polarizzati esclusivamente verso le criticità esistenti, mentre la proposta per un miglioramento della comunicazione è che vengano considerate anche le spinte positive che provengono dalla società per uscire da situazioni di crisi.
Per il giornalista e sindaco di Cittaducale, Leonardo Ranalli, il problema di base da affrontare è culturale, pertanto, incrementare e migliorare la comunicazione preventiva consentirebbe di lavorare meglio nel momento del disastro e di responsabilizzare maggiormente, in primis tutti i cittadini, su come affrontare le situazioni di emergenza per provare a ridurre i danni. “Da amministratore” ha ammesso “la difficoltà è capire cosa vuoi e puoi raccontare, perché da quello che si comunica possono derivare una serie di conseguenze di diversi tipi che possono portare anche a delle crisi enormi e pertanto bisogna riuscire a ponderare”. Da qui la proposta di trovare un canale istituzionale per aiutare gli amministratori a gestire la comunicazione in caso di disastro naturale, in particolare nella fase di emergenza, predisponendo anche dei percorsi di formazione specifica per gli amministratori pubblici.
Nel corso del giro di tavolo della seconda parte della mattinata Pierluigi De Rosa - Ferpi PA - ha sollevato il punto sul fatto che la comunicazione pubblica dovrebbe ripartire da una riflessione interna alla Pubblica Amministrazione riorganizzativa perché spesso le risorse umane predisposte non dispongono delle necessarie capacità che possono essere migliorate e trasmesse anche senza dispositivi di legge ad hoc.
Enrico Michetti - ufficio legale Anci Lazio - ha posto l’accento sul fatto che la pianificazione è la cosa più importante perché l’Italia è un Paese che ha sempre vissuto gli eventi calamitosi con poca memoria del passato e quindi la comunicazione più importante è quella preventiva e deve entrare all’interno della “liturgia amministrativa” come una consuetudine. La chiave è valutare attentamente quelli che sono gli eventuali rischi che caratterizzano il territorio, con il coinvolgimento di tutti gli attori e senza lasciare il sindaco solo.
Giulia Pigliucci - ufficio stampa Focsiv - con le sue parole ha dato voce ai tanti volontari che nelle situazioni di emergenza decidono di agire, essere presenti a fianco delle comunità coinvolte per aiutarle e che interloquendo con loro costruiscono rapporti improntati sulla fiducia. Il ruolo della comunicazione qui è anche quello di parlare a chi non è strutturato e non segue i protocolli studiati nel volontariato organizzato, perché è necessario che in un territorio dove si è verificata una calamità naturale venga assicurata la presenza di risorse umane competenti, che abbiano la capacità di intervenire impedendo eventuali ulteriori danni.
Nell’ottica di un percorso comune, Pasquale D’Innella Capano - di FederRassegne - ha spiegato come le aziende nel contrasto alla crisi e nel rilancio di un territorio colpito da un’emergenza possono essere di aiuto attuando quello che è già un loro principio di base ossia conservare, proteggere, partecipare ed essere una parte viva e propositiva del territorio.
Una comunicazione che tratta di temi ambientali, secondo Sergio Vazzoler – membro del Comitato Scientifico di FIMA - è responsabile se prima di tutto viene accompagnata da una condotta seria da parte delle Istituzioni in risposta alle richieste fatte ai cittadini perché altrimenti si alimenta una crisi di fiducia. E, in seconda istanza, se individua delle alternative positive al linguaggio della paura, della privazione, poiché queste impattano sull’emotività del momento ma non vengono interiorizzate nel tempo. Infine non deve essere troppo complessa, perché il cittadino ha bisogno di essere aiutato a capire come può introdurre delle azioni quotidiane nella sua vita e farle coincidere con quegli obiettivi comuni che percepisce come distanti da lui. Quello che manca infatti è il collegamento forte tra comportamenti individuali e collettivi, con un rispetto formale della regola imposta dall’Amministrazione ma di fatto senza una sostanziale trasformazione delle abitudini.
Call to Action
Il percorso di definizione della Carta di Rieti, una serie di linee guida per la comunicazione responsabile in contesti di disastri naturali, vedrà un paio di tappe sotto forma di workshop in Emilia-Romagna e a L’Aquila, e uno spazio di condivisione online, prima di approdare alla conferenza di redazione finale a Roma entro fine 2019.
Si tratta di un progetto aperto a cui è possibile portare il proprio contributo - come associazione, organizzazione privata, ente pubblico e professionisti impegnati nella comunicazione. Per contattare il gruppo di lavoro è possibile scrivere a biagio.oppi@gmail.com.
Il libro "Call to Action per una comunicazione responsabile nei disastri naturali. Verso la carta di Rieti" si può ordinare sul sito di BUP - Bononia University Press.
Partner dell’iniziativa: Amapola, archeoRes, BUP - Bononia University Press, Comm To Action, FERPI, FIMA, Life Cure – Gruppo Sapio, Terremoto Centro Italia, Settimanale Diocesano Frontiera, Rieti in tasca, Telpress, Zerodotfour.