Quasi chiunque avrà sentito nominare almeno una volta Scientology: religione o setta? Cos’è realmente al di fuori delle pagine di gossip delle riviste patinate? Sicuramente un’anomalia per quanto concerne la comunicazione. Violando i più basilari principi delle Rp, Scientology vive e prospera da decenni. Luca Poma ne presenta un’esclusiva analisi “dall’interno”.
di Luca Poma (1)
Molto si è scritto su Scientology® (2), organizzazione definita a volte setta, a volte “nuova religione”, a volte “gruppo per il miglioramento personale”, ma spesso descritta con toni esacerbati e un po’ apocalittici (3): una copertina di Panorama titolava “Scientology Spa”, con foto in primo piano del più noto “testimonial” americano di Scientology, Tom Cruise, e con un minuzioso rendiconto giornalistico delle fonti di approvvigionamento di denaro di quello che è definito il più redditizio tra i nuovi movimenti religiosi – o presunti tali – dell’intero pianeta. Per contro, in più occasioni i portavoce di Scientology hanno contestato questa visione unilaterale del loro operato. Marco Natale, Direttore degli Affari Pubblici della Chiesa di Scientology di Milano, la più grande d’Italia, scriveva in risposta all’inchiesta su Panorama (4), in una email inviata a Rossitto (5): “Vi è da parte nostra solo lo scotto, pagato negli anni passati, di un trattamento negativo che la stampa e i media hanno voluto riservarci, dipingendoci come una setta mangiasoldi che irretisce i suoi adepti lavandogli il cervello e mettendo in ampio risalto, sempre o quasi sempre, le voci critiche, talvolta violente, che da decenni trovano spazio e preponderanza nelle inchieste come questa. Ci vengono attribuite storie inverosimili e delittuose, intese sempre a dimostrare che la Chiesa di Scientology sia pericolosa, spietata nell’attaccare chi l’attacca, falsa e vile coi suoi stessi fedeli, i quali, plagiati, non si accorgono di quanto sta loro accadendo, mentre sono intenti a riversare fiumi del loro denaro all’interno dell’Istituto (…)”.
Pochi tra i colleghi – forse nessuno in Italia – hanno tuttavia avuto la possibilità di osservare e studiare il movimento “dall’interno”, occasione che ho avuto a cavallo della metà degli anni ’90, quando ho frequentato la Chiesa di Scientology per circa un quinquennio, seguendo con interesse un percorso di formazione e miglioramento, segnatamente sui temi della comunicazione in pubblico e peer-to-peer, tecniche sulle quali il fondatore Lafayette Ronald Hubbard era un maestro. Leader carismatico in grado di alimentare un vero e proprio culto della personalità già quand’era in vita, secondo i gossip amante delle auto sportive, delle belle donne e delle dimore di lusso, Hubbard riorganizzò una serie di conoscenze in larga parte già note, razionalizzandole e rendendole agevolmente fruibili anche all’uomo della strada: codici utili – se applicati correttamente – per migliorare vari aspetti della propria personalità, guidando l’adepto in un percorso per certi versi di tipo psicoanalitico alla ricerca dei momenti di turbamento del passato, per riprendere familiarità con essi, rimuovendo i “blocchi psicologici” e trasformando un individuo frustrato e parzialmente inibito – quindi “inefficiente” verso se stesso e nei confronti del gruppo di appartenenza, secondo quell’approccio pragmatico tipico dell’iper-semplicismo americano – in un individuo nuovamente capace di sognare, osare, e superare con successo i propri limiti (6). Obiettivo lodevole, a volte raggiunto a volte no, come testimonia l’elevato turn-over sia degli adepti che dei membri dello staff interno. Ma le critiche negli ultimi anni si concentrano non tanto sui fini e sui mezzi utilizzati per raggiungerli, quanto sul “prezzo da pagare” – in termini economici, ma anche di assoluta uniformità al pensiero dominante dell’organizzazione – per riuscire ad essere un “buon Scientologo”. Dal canto mio, mi allontanai del gruppo dopo lo “scandalo” suscitato internamente – con mia viva sorpresa – dalla circolazione di un mio scritto di taglio giornalistico dal titolo Saggio non antagonista sulla Chiesa di Scientology: una religione contemporanea vista dall’interno, nel quale illustravo una serie di riflessioni critiche sui metodi di gestione del gruppo. Poi presi ulteriormente le distanze pubblicando una Lettera aperta alla Chiesa di Scientology facilmente reperibile on-line, e pubblicata anche sul sito della nota esperta di nuovi movimenti religiosi Raffaella Di Marzio.
L’inesistenza di acredine da parte mia verso l’organizzazione, della quale – nonostante il mio dissenso – non mi sento e non mi sono mai sentito un “nemico”, mi ha permesso e mi permette tutt’ora un approccio lucido e non viziato da preconcetti al tema “Scientology” e a tutte le implicazioni che una campagna permanente di proselitismo ha per la cittadinanza ma anche per noi addetti ai lavori del settore comunicazione.
Non è sugli aspetti dottrinali che voglio concentrare la mia e vostra attenzione, bensì sulle strategie di relazioni pubbliche e comunicazione di un gruppo che ad esse destina una parte significativa del proprio budget miliardario (in dollari). Scientology è una case-history di assoluto interesse, che ci permette di evidenziare sommariamente perlomeno sedici diverse ed evidenti criticità:
1) in merito alla trasparenza, l’organizzazione non ha mai pubblicato – e pare continuare a non voler pubblicare – un bilancio consolidato delle proprie attività, né a livello locale né a livello internazionale. E’ una macchina che arriva ad incassare in tutto il mondo, secondo i calcoli di ex adepti ed ex membri dello staff, milioni di euro a settimana, in parte in donazioni a fondo perduto, in parte in corrispettivi per servizi di miglioramento personale, ma che non rendiconta in alcun modo i propri stakeholder (7) circa incassi, spese, giacenze medie, utili, destinazione effettiva di essi e riserve liquide di conto corrente. Le articolazioni locali della chiesa condividono al proprio interno i dati di bilancio (un Consiglio esecutivo composto dal top-management locale approva settimanalmente un budget di esercizio) e lo stesso si presume facciano le sedi di livello superiore, ma una visione d’insieme, a livello nazionale e internazionale, non è mai stato possibile averla. Gli stessi rilievi critici vengono mossi anche all’Associazione “IAS”(8), emanazione della chiesa, le cui tessere vengono acquistate dai membri ad una cifra oscillante a seconda del livello di membership dai 350 dollari all’anno a svariati milioni di euro (con un versamento vitalizio una tantum, che gli iscritti sono comunque sempre invogliati ad incrementare ulteriormente) per i livelli onorifici più elevati, e che – unica associazione internazionale al mondo – non ha mai pubblicato alcun rendiconto finanziario, neanche sintetico, in tre decenni di attività;
2) più in generale, Scientology non applica la teoria della -stakeholder value,_ non ha mai predisposto – o perlomeno non ha mai reso pubblica – una mappa dei propri stakeholder, non ha mai reso pubbliche le sue strategie di dialogo con essi a medio-lungo termine, e tanto meno ha mai pubblicato un prospetto per la ridistribuzione del valore aggiunto;
3) non pubblica un bilancio sociale, inteso come momento annuale di pubblica rendicontazione di tutte le azioni di dialogo verso gli stakeholder;
4) pubblica però un breve resoconto di missione, di una ventina di pagine, sotto forma di “discorso” del Presidente del Consiglio di Amministrazione agli iscritti, David Miscavige, ma esso è accessibile sono agli associati abbonati – peraltro gratuitamente – alle riviste dell’organizzazione, e non mi risulta sia scaricabile né dalla homepage del sito principale (9) né da sezioni interne dello stesso. In ogni caso, si tratta di un’azione promozionale, più che di una vera e propria azione di rendicontazione, dal momento che contiene sì dati numerici sull’espansione dell’organizzazione nel mondo, ma forniti unilateralmente, senza alcuna possibilità di verifica obiettiva degli stessi da parte di osservatori indipendenti, e – ciò che più conta – non include alcun cruscotto di indicatori che permetta di misurare la “ratio” tra impegni di fine anno e obiettivi raggiunti 12 mesi dopo;
5) non risulta organizzare di propria iniziativa press-meeting periodici con giornalisti indipendenti, i quali vengono considerati tendenzialmente “nemici dell’organizzazione” fino a prova contraria;
6) in termini di “asset immateriali”, pratica una difesa dei marchi d’impresa che non esiterei a definire ossessiva. Strategia più che legittima di per sé secondo le norme di legge vigenti, ma distonica rispetto alla sensibilità del XXI° secolo, fortemente orientata in direzione “copyleft”, specie per le organizzazioni non a scopo di lucro quale Scientology sostiene di essere;
7) la web-presence di Scientology è alla data in cui scrivo obiettivamente del tutto obsoleta. I siti – tutti dal primo all’ultimo – sono “1.0”, vetrine di prodotti e servizi che non prevedono in alcuna forma un’interazione “2.0” con il pubblico, sia esso composto di membri, simpatizzanti, neutrali od ostili. Di fatto, quest’impostazione della pur faraonica presenza web dell’organizzazione è “figlia” dell’assenza di qualsivoglia strategia di stakeholder engagement: è impossibile postare commenti, quelli favorevoli vengono prima vagliati dalle organizzazioni locali e dai comitati di redazione delle riviste e pubblicati solo in quanto funzionali alla promozione dell’organizzazione e dei suoi servizi, e quelli palesemente negativi di qualunque genere semplicemente non vengono pubblicati, neanche in partizioni secondarie dei siti web;
8) la strategia prevalente in caso di attacco esterno non è quella del dialogo alla ricerca della comprensione delle ragioni del pubblico coinvolto nella contesa, ma è quella dell’attacco legale come soluzione di prima linea nella risoluzione delle controversie, il che è palesemente distonico rispetto all’immagine di ente “caritatevole” che la chiesa tende a dare con i propri scritti, evidenziando così nuovamente un conflitto sul tema dell’autenticità. Quando non avviene un attacco legale, la scelta pare frutto di un’attenta valutazione in termini di convenienza per l’organizzazione, più che di un reale interesse all’ascolto e al bonario componimento della vertenza. A conferma di ciò, è bene segnalare l’abitudine di classificare come “Persona soppressiva e/o Sorgente potenziale di guai” chiunque critichi apertamente l’organizzazione (anche questo articolo – ancorché “ragionato” e non antagonista – verrà classificato come un “Alto crimine”). Un ex funzionario della chiesa all’epoca incaricato di ruoli chiave, ed ora fuoriuscito, ha dichiarato per iscritto all’autore di quest’articolo: “quello che Scientology fa SEMPRE (il maiuscolo è nell’originale, ndr) è aprire una pratica investigativa ai danni dell’attaccante di turno. Viene aperto un folder, contenente i dati della persona, gli atti discutibili da lui/lei commessi in passato e qualsiasi cosa ‘succosa’ si riesca a trovare sul suo conto. La tecnica per risolvere un attacco è sempre di scoprire il punto debole del soggetto ed esporlo pubblicamente”. Critiche di questo genere sono state mosse a più riprese all’organizzazione, recentemente anche da Placido Domingo Jr (10), i cui particolari delle “confessioni” rese quando era ancora un membro della chiesa, e afferenti a dettagli intimi del suo matrimonio, sono stati resi pubblici – a suo dire dalla Chiesa stessa – in modo “sinistro e patetico”. E’ di tutta evidenza che un atteggiamento così “aggressivo” nella gestione delle relazioni pubbliche è nuovamente poco autentico, in quanto distonico rispetto all’immagine “caritatevole” che la chiesa tenta di dare con gli scritti e i video illustrativi delle sue attività;
9) in termini di coerenza tra messaggio e contenuti, è palese il contrasto tra “regola” (“uno Scientologo deve aderire alle regole interne del gruppo, e queste non sono in alcun modo negoziabili, se non le condividi in toto non sei parte del gruppo e puoi andare via”) e gli slogan pubblicitari dell’organizzazione (uno dei più celebri è infatti quello che recita “Pensa con la Tua testa” ). Anche il concetto di “responsabilità” appare distorto: Scientology invita – giustamente – i propri membri ad una piena e totale assunzione di responsabilità circa qualunque propria scelta del passato e condizione del presente, partendo dal presupposto che solo così facendo potranno riconquistare la forza necessaria ad erigersi a “punto causa” della propria esistenza, ma nel contempo essa come organizzazione appare totalmente indisponibile a qualunque tipo di assunzione di responsabilità. Secondo l’organizzazione, le critiche provenienti dall’esterno sono sempre opera di facinorosi prezzolati e malintenzionati, gli attacchi sono mossi da chi ha un secondo fine e vuole sopprimere Scientology e con essa il pianeta intero, gli allontanamenti dal gruppo sono senza esclusione dovuti a “fughe” dall’organizzazione – che ha sempre e comunque ragione – da parte di singoli che rifiuterebbero di doversi confrontare con i propri presunti “crimini”. Questo ed altri aspetti delle modalità di applicazione della dottrina sollevano dubbi sul grado di “autenticità” dell’approccio dell’organizzazione verso i propri stakeholder;
10) le riviste, numerose e patinatissime, riflettono l’immagine per certi versi “opulenta” che l’organizzazione desidera dare di sé, anche in questo caso per certi versi distonica rispetto a quella di una realtà che assume fini sociali, solidaristici e caritatevoli tra le proprie priorità: carta a grammatura pesante, copertine in pentacromia e verniciate, con contenuti integralmente in quadricromia. Inoltre contengono una quantità innumerevole di termini “tecnici” comprensibili solo agli adepti, e non sono quindi adatte in alcun modo alla divulgazione di massa, funzione che dovrebbe invece essere tra i loro scopi primari;
11) sempre in termini di autenticità, in relazione alle riviste, la fonte già citata al punto 8 riferisce quanto segue: “potrebbe essere interessante riferire che non solo vengono pubblicate riviste ‘patinate’, ma che sulle stesse vengono creati ad hoc espedienti grafici più o meno elaborati per far sembrare gli eventi più affollati, per aumentare le persone presenti ad una inaugurazione, o cose simili. Oltre a gonfiare ‘graficamente’ la partecipazione agli eventi, viene portata avanti la medesima strategia anche con le azioni di pubbliche relazioni: una stretta di mano strappata ad un Sindaco occupato in tutt’altre altre faccende diventa ad esempio un appoggio a Scientology… Quello che le riviste (di Scientology, ndr) vendono al pubblico interno, già opportunamente ‘ammorbidito’ è l’espansione fittizia dell’organizzazione”;
12) i videoclip di presentazione (11) riportano frasi ad effetto (come ad esempio quella assai incredibile che recita “Siamo il gruppo per i diritti umani più attivo sulla terra” ) e carrellate di numeri sulle problematiche che affliggono il pianeta – droga, analfabetismo, etc. – e sull’impegno dell’organizzazione nel risolverle, con i relativi conseguimenti ottenuti, ma nessuna delle cifre citate – neanche una – riporta una fonte di qualunque tipo, rendendo così le affermazioni della chiesa del tutto autoreferenziali e prive di riscontri oggettivi. La carenza assoluta di fonti è anche tipica di quasi tutti gli articoli pubblicati sulle riviste del gruppo, che pure riportano decine e decine di statistiche del genere ad ogni numero. Il che non rende i dati forniti di per se non genuini, ma priva il lettore – ed il giornalista – del proprio legittimo diritto di verifica della fonte, e nel contempo nuoce a mio avviso al profilo di credibilità dell’organizzazione stessa, esponendola ad attacchi altrimenti facilmente evitabili;
13) è impossibile disporre di un “censimento” aggiornato e realistico del numero degli Scientologist sul pianeta, dal momento che anche solo per acquistare un libro presso una loro sede è obbligatorio compilare un modulo di iscrizione, e si risulta così “affiliati” per il solo fatto di aver voluto approfondire qualche tematica d’interesse;
14) il grado di informatizzazione interno – fatta eccezione per alcune sedi internazionali “di eccellenza” – è carente. Fino perlomeno a tutto il 2006 – se non oltre – il sistema di trasmissione ordini tra le sedi centrali USA e il resto del modo, Italia inclusa, avveniva ancora a mezzo “telex”, per le sedi locali non esisteva alcun progetto di “smaterializzazione” degli archivi, erano dotati di casella e-mail lavorativa solo i top manager e gli addetti alle relazioni pubbliche, e i dati sensibili degli iscritti erano custoditi esclusivamente in forma cartacea. Questa scarsa “alfabetizzazione informatica” si riflette in una generale diffidenza verso le soluzioni tecnologiche di nuova generazione;
15) ancora sotto il profilo dell’autenticità, l’organizzazione utilizza frequentemente i cosiddetti “gruppi di facciata” (12), associazioni impegnate socialmente per l’alfabetizzazione dei bambini, sensibilizzazione contro l’uso delle droghe, innalzamento degli standard etici nel mondo degli affari e altre attività più che meritevoli. Questi gruppi sono come una specie di “Giano Bifronte”: da un lato raccolgono consensi “sfumando” la propria identità strettamente correlata ed organica a quella della chiesa (13), identità che in molti ambienti risulterebbe assai “ingombrante”, e per contro “spendono” poi i conseguimenti raggiunti come “risultati della Chiesa di Scientology”, utilizzandoli come un efficace strumento di team-building orientato anche e soprattutto alla raccolta fondi tra i membri ed all’accreditamento presso le istituzioni pubbliche;
16) infine, l’organizzazione appare deficitaria sotto il profilo del crisis management e della crisis communication: non è nota l’esistenza di un Crisis-plan, e comunque non pare venga utilizzato in occasione delle crisi reputazionali in cui l’organizzazione e periodicamente coinvolta. Perlomeno non viene applicato l’a-b-c delle gestione di crisi, che – com’è accademicamente noto – prevede (a) rapida verifica dello scenario (b) assunzione di responsabilità © scuse sincere ai propri pubblici (d) impegno a non ripetere gli errori (di commissione o di omissione) (e) eventuale risarcimento delle vittime degli errori (f) e solo dopo l’applicazione dei punti da (a) ad (e) avvio di una strategia di recupero dell’indice reputazionale. Scientology, non avendo mai alcuna responsabilità o non volendosene assumere, non risulta si sia mai trovata in 50 anni di attività nella condizione di doversi e volersi scusare con qualcuno dei propri stakeholder.
L’organizzazione “Chiesa di Scientology”, con le sue luci e le sue ombre, è una galassia affascinante, per il tentativo – riuscito a meno lo dicano gli esperti di nuovi movimenti religiosi – di “occidentalizzare” e rendere tecnicamente applicabili nella vita di tutti i giorni saperi antichi e molto complessi come ad esempio i Veda Indiani. Ma soprattutto è a mio avviso un’interessante case-history sotto il profilo delle relazioni pubbliche e della comunicazione: come sia stato possibile per Scientology sopravvivere per decenni con una tale frammentaria e inadeguata applicazione dei più elementari principi propri della nostra professione, è e rimane un mistero, anche se forse le performance di espansione negli ultimi 10 anni – che non paiono particolarmente incoraggianti rispetto al passato – scontano proprio questi obiettivi deficit. Certamente il top-management della chiesa sta inanellando una serie infinita di “occasione sprecate”, stretto come appare nella morsa del dubbio tra aprirsi realmente verso l’esterno in un’ottica di reale trasparenza 2.0, sintonizzandosi sulle nuove sensibilità degli utenti del ventunesimo secolo e agevolando così l’espansione, oppure continuare a chiudersi a riccio, vittima della paura di essere messo in discussione pubblicamente.
Il classico gatto che si morde la coda, e nel contempo un dilemma per il quale Scientology – con le ingenti risorse di cui dispone – pare non aver ancora individuato una soluzione.