Daniela Bianchi - Segretaria Generale FERPI
Il giorno è arrivato. L'America si trova al bivio più critico della sua storia recente, stretta tra due visioni radicalmente opposte che potrebbero ridefinire non solo il destino del Paese, ma anche gli equilibri geopolitici globali. Da una parte, il sovranismo intransigente di Donald Trump, dall'altra, il liberalismo democratico progressista incarnato da Kamala Harris. Questa non è semplicemente un'elezione, è un referendum sull'anima stessa dell'America.
Le politiche divisive di Trump, l’ombra di un sogno americano sempre più ristretto, quel mantra semplice ma potente: "America First", il sovranismo di Donald Trump non è solo una riaffermazione della sovranità nazionale, ma un rifiuto esplicito del multilateralismo e della cooperazione internazionale che hanno caratterizzato l'ordine mondiale dal dopoguerra.
Le sue politiche sull'immigrazione, segnate da muri fisici e metaforici, hanno alimentato tensioni sociali e razziali. La retorica spesso incendiaria ha legittimato frange estremiste, mentre l'attacco costante alle istituzioni democratiche ha eroso la fiducia dei cittadini nel sistema. Trump non ha solo sfidato lo status quo, ha minato i fondamenti stessi della democrazia americana.
Dalla parte opposta Kamala Harris, prima donna e persona di colore a ricoprire la carica di vicepresidente, che ha messo sul suo scudo una promessa di rinnovamento. Il suo liberalismo democratico propone un'America inclusiva, aperta e impegnata a livello globale. Ma questa visione progressista potrà realmente sanare le profonde ferite del Paese o rischia di essere percepita come elitista e distante dalla realtà di molti americani?
Promuovere giustizia sociale, equità economica e sostenibilità ambientale richiede non solo buone intenzioni, ma anche strategie concrete e la capacità di unire una nazione frammentata. Harris dovrà affrontare non solo le resistenze interne, ma anche un panorama internazionale in rapido mutamento.
Sono queste le sfide titaniche nascoste tra le pieghe di una campagna elettorale all’ultimo voto. Una campagna giocata a colpi di fake news e di fact cheking, una sfida che ha messo la Verità sotto assedio, e che ha fatto emergere nell’elettorato reazioni diverse, enfatizzando anche qui due blocchi di pensiero.
Durante la sua presidenza e le campagne elettorali, Trump è stato protagonista di un volume senza precedenti di affermazioni false o fuorvianti. Organizzazioni di fact-checking come PolitiFact, FactCheck.org e il Washington Post Fact Checker hanno documentato migliaia di dichiarazioni inesatte. Nonostante gli sforzi per correggere e contrastare queste informazioni, l'impatto sul suo sostegno politico è stato limitato. Molti dei suoi sostenitori hanno mostrato sfiducia verso i media tradizionali, considerando le verifiche come attacchi politici piuttosto che come strumenti per promuovere la verità.
Anche Kamala Harris è stata oggetto di scrupoloso fact-checking. Le sue affermazioni su sanità, giustizia penale e politiche ambientali sono state analizzate per verificarne l'accuratezza. A differenza di Trump, le sue inesattezze sono risultate meno frequenti e meno gravi. I suoi sostenitori hanno dimostrato di accettare le correzioni fornite dalle organizzazioni di fact-checking, riconoscendo l'importanza della trasparenza e dell'integrità nel discorso pubblico.
Ma è un dato che la diffusione massiccia di informazioni false, spesso propagate attraverso i social media mini ulteriormente la fiducia nelle istituzioni e approfondisca le divisioni sociali. Nonostante gli sforzi per correggere le false narrazioni, la velocità e la portata della disinformazione spesso superano la capacità di contenerla e la disinformazione, si sa, avvantaggia la destabilizzazione.
Proprio questa comunicazione “tossica” ha alimentato una polarizzazione politica che ha raggiunto livelli senza precedenti.
Gli Stati Uniti si presentano oggi come una superpotenza con profonde fragilità interne. La pandemia ha messo a nudo le disuguaglianze economiche e sociali, mentre le tensioni razziali hanno scosso le fondamenta del mito dell'American Dream.
Mentre l'America guarda al proprio ombelico, altre potenze emergono sulla scena globale. La Cina avanza inarrestabile, l'Europa cerca un'identità comune, e nuovi attori regionali sfidano l'ordine stabilito. L'isolazionismo americano rischia di lasciare un vuoto di potere pericoloso.
L'Europa osserva con preoccupazione. Marginalizzata nel dibattito americano, incapace di influenzare gli eventi oltreoceano, e alle prese con quegli stessi blocchi che ne polarizzano il dibattito. Ma può permettersi di restare in disparte?
Con Trump al Timone: un'ulteriore deriva verso l'isolazionismo, con potenziali conflitti commerciali e diplomatici. Le istituzioni internazionali potrebbero indebolirsi ulteriormente, mentre le tensioni interne rischiano di esplodere. La disinformazione potrebbe continuare a prosperare in un ambiente ostile alla verità.
Con Harris in Prima Linea: un tentativo di ricucire le fratture interne e di rilanciare il ruolo degli Stati Uniti come leader globale responsabile. Il sostegno al fact-checking e alla lotta contro la disinformazione potrebbe rafforzarsi, ma le resistenze saranno forti, e il successo non è garantito.
Il mondo può permettersi un'America indebolita o imprevedibile? Quello che appare sullo sfondo di queste elezioni, comunque vada, mi sembra sia un una grande battaglia sulla verità, e il sostegno alla verità e alla trasparenza è da sempre fondamentale per la salute delle democrazie.
Dicono che lo Stato ago della bilancia sia il Nevada, pochi grandi elettori ma grande peso, le luci di Las Vegas risplendono abbaglianti in questa notte americana, per una roulette che vale un’elezione.