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Immagini e stereotipi nella pubblicità in un’ottica di genere

18/03/2025

Caterina Grisanzio

Carta stampata e media non solo attraverso gli articoli ma anche e soprattutto attraverso la pubblicità fanno ancora uso abbondante di formule retoriche, immagini, luoghi comuni che contribuiscono, non so quanto inconsapevolmente, a rafforzare stereotipi difficili da sradicare nel nostro sistema sociale.

 

La questione di genere è un tema che deve essere affrontato non solo, puramente, dal punto di vista delle pari opportunità nei vari settori della società, ma anche attraverso tematiche trasversali, quali il tema della rappresentazione delle immagini femminili e maschili nella pubblicità: sono queste immagini, sotto i nostri occhi continuamente veicolate dai mass media e dai social, che modellano e plasmano l’immaginario collettivo, fatto di stereotipi in tema di ruoli maschili e femminili. 

 

Con il corpo delle donne si pubblicizza qualsiasi cosa, prodotto, servizio.

Nel 1979 il sociologo canadese Erving Goffman nel suo saggio “Gender Advertisements” rivolge la sua attenzione specificatamente ai modi in cui gli uomini e le donne, ma soprattutto le donne, vengono rappresentate negli annunci pubblicitari (ritenendo quelle rappresentazioni, assai manipolate, scene riconoscibili della “vita reale”) e specula su cosa ci viene detto da quegli annunci su noi stessi. 

 

Sotto a titoli quali “Il tocco femminile”, “Funzione del rango”, “Il rito della subordinazione”, “Taglia relativa” e “Ritiro approvato” Goffman ci fa notare fenomeni dei quali siamo totalmente inconsapevoli e che si instaurano nell’immaginario collettivo, contribuendo a perpetrare stereotipi e pre-giudizi di genere.

 

Cosa è cambiato da allora? Nulla, anzi.

Già da decenni gli individui stanno tendenzialmente sostituendo in termini di rilevanza al momento dell’acquisto i significati oggettivi, intrinseci al prodotto, con quelli simbolici di segno. Comunichiamo agli altri ciò che siamo veramente, i nostri gusti, la nostra sensibilità, il nostro stile di vita attraverso una sottile e, spesso, inconsapevole regia nelle strategie di shopping. Sempre più quindi deve esserci da parte di chi produce e commercializza un prodotto la consapevolezza della sua funzione di segno, dell’essere e del divenire sempre il prodotto, per i suoi fruitori, un medium di comunicazione*.

 

Parole, immagini, concetti, comunicazione e loro utilizzo creano le condizioni strutturali per produrre e riprodurre stereotipi e luoghi comuni funzionali alla legittimazione sociale e culturale della discriminazione e violenza di genere.

 

Carta stampata e media non solo attraverso gli articoli ma anche e soprattutto attraverso la pubblicità fanno ancora uso abbondante di formule retoriche, immagini, luoghi comuni che contribuiscono, non so quanto inconsapevolmente, a rafforzare stereotipi difficili da sradicare nel nostro sistema sociale.

 

Accanto alle varie forme di violenza di cui sono fatte vittime le donne (fisica, verbale, psicologica, sessuale, economica) esiste la violenza invisibile, quella perpetrata attraverso il linguaggio, gli stereotipi, i pregiudizi: non solo continuano a mancare termini femminili per professioni e cariche in origine riservate solo agli uomini o si continua a usare il maschile come sostantivo generico indiscriminato, ma nei media continuano a essere usate la figura maschile universale, utilizzata genericamente per l’individuazione del gruppo umano e la figura femminile, sempre in bilico tra i due poli del mondo dello spettacolo e della cronaca nera. 

 

L’uso del corpo delle donne per pubblicizzare qualsiasi oggetto attiva il processo di  mercificazione e oggettivazione per cui con quel corpo, considerato al pari dell’oggetto che pubblicizza, puoi farci ciò che vuoi per arrivare dunque alla violenza e di quel corpo alla fine puoi sbarazzartene come se fosse un oggetto, abbandonandolo sul ciglio di una strada, riverso in un cassonetto dell’immondizia, gettato nel fiume, fatto a pezzi e lasciato sul carrello della spesa**. 

 

Durante il processo di socializzazione, in cui intervengono la famiglia, il sistema scolastico, i media, la religione, le amicizie e l’ambiente di contorno, occorre implementare un linguaggio non sessista nelle relazioni sociali, culturali, artistiche, garantendo la trasmissione di immagini e parole egualitarie e non stereotipate di donne e uomini nella società: una comunicazione di genere non trasmette, non perpetua, non rafforza gli stereotipi ma promuove una rappresentazione degli uomini e donne in linea con il principio di pari opportunità.

 

La discriminazione e gli stereotipi di genere aggravano ulteriormente la situazione delle bambine e delle ragazze che vivono in povertà educativa, scoraggiando il loro interesse per le materie STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) che si trasforma in mancanza di opportunità di lavoro e di vita: in Italia, bambine e ragazze sono significativamente sottorappresentate nei settori delle materie STEM che rappresentano un'area di crescita del prossimo futuro***.

 

I media hanno acquisito un potere di modellare norme e credenze politiche, sociali e culturali in modo sproporzionato rispetto alla loro funzione di portatori di informazioni. È un potere di cui il movimento per i diritti della comunicazione – di cui fa parte il Global Media Monitoring Project – intende tenere conto. Studiare come le donne e gli uomini sono rappresentati nelle notizie è importante perché spesso ciò che le persone vedono è ciò in cui credono. E quando si tratta di genere, rettificare i presupposti errati causati dalla discriminazione, dalla misoginia e dalle credenze patriarcali può essere fatto solo attraverso una rivalutazione e una revisione lungimiranti delle politiche e delle pratiche giornalistiche****. 

 

Anche l’ONU, attraverso la Convenzione Cedaw - Convenzione per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne (CEDAW), adottata nel 1979 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite (spesso descritta come una carta internazionale dei diritti per le donne) e il Report che ogni anno dedica ad ogni Paese che ha firmato la Convenzione, sottolinea riguardo al nostro Paese:

  • La persistenza del sessismo e degli stereotipi di genere a livello sociale e istituzionale e la mancanza di informazioni sull’applicazione delle sanzioni; 
  • Discorsi di odio contro donne e ragazze lesbiche, bisessuali, transgender e intersessuali e donne e ragazze con disabilità, anche nello spazio digitale; 
  • La mancanza di salvaguardie contro gli stereotipi di genere associati ai sistemi biometrici, di sorveglianza e di profilazione algoritmica utilizzati dalle autorità di polizia nella lotta al crimine.

 

E raccomanda di:

  • Continuare e rafforzare ulteriormente le misure per affrontare gli stereotipi di genere e le barriere strutturali che possono dissuadere o scoraggiare le giovani donne e le ragazze dal perseguire carriere come professoresse universitarie e studi in campi di studio tradizionalmente dominati dagli uomini, comprese le scienze, la tecnologia, l’ingegneria e la matematica (STEM) e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), compresa l’intelligenza artificiale;
  • Garantire che gli stereotipi di genere siano eliminati dai libri di testo a tutti i livelli di istruzione e in tutte le regioni dello Stato, e che i curricula scolastici, i programmi accademici e la formazione professionale degli/lle insegnanti trattino adeguatamente i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere*****.



Caterina Grisanzio, socia FERPI e responsabile U.R.P. Regione Liguria, è autrice del saggio Pistole cariche. Immagini e stereotipi nella pubblicità in un’ottica di genere, seconda edizione ottobre 2023, De Ferrari Editore, Genova.

 


 

*V. Codeluppi “Consumo e comunicazione”, Milano, Angeli, 1988

**Assassinio Michelle Causo, Primavalle, Roma 28.06.2023

***Nel 2023, in Italia la percentuale di donne tra i 25 e i 34 anni con una laurea Stem (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica) è stata meno della metà di quella riscontrata tra gli uomini (16,8% tra le ragazze e 37% tra i ragazzi) – Ragazze e STEM: stereotipi e disparità di genere  Save The Children – 30.01.2024

****P. Lee in Global Monitoring Media Project 2020

*****Ottavo rapporto periodico dell’Italia (CEDAW/C/ITA/8) - 2024

 

 

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