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Il futuro dei giornali

08/10/2015

Una fotografia della situazione odierna ma con uno sguardo al futuro e alle possibili alternative all’attuale modello di business. Pier Luca Santoro, nel suo nuovo libro, ripercorre la storia dei quotidiani nell'ultimo secolo per proporre nuove strade per tornare ad essere competitivi.

I giornali sono fondamentali nella società globalizzata. Eppure questa società gli è diventata ostile. Da una parte continuano a dettare l’agenda, orientare l’opinione pubblica e aiutare a orientarsi nel mondo che cambia, dall’altro, a differenza del passato, non riescono più a ricavare reddito. Pier Luca Santoro, comunicatore, tra i maggiori esperti del settore, sul futuro dei giornali ci ha scritto un bel libro: “Il futuro dei giornali, i giornali del futuro” (Informant, 2015) che propone un’analisi dello scenario attuale ma soprattutto prospetta diversi modelli di business editoriale per tornare ad essere competitivi.

Il libro si compone fondamentalmente di due grandi aree: una prima dedicata ad una fotografia analitica della situazione attuale, dello scenario di riferimento, ed una seconda dove ven­gono analizzate in profondità quelle che possono essere alternative e/o complementari all’attuale modello di business su cui si sono sorretti i quotidiani negli ultimi 100 e più anni.

Ne anticipiamo la conclusione, per gentile concessione dell’autore.







di Pier Luca Santoro

“Se precedentemente l’offerta attraverso una struttura classica, sviluppatasi in oltre un secolo di storia, creava una propria domanda, oggi è il lettore - sempre più incasellabile come consumatore tout court - a selezionare, e in alcuni casi perfino a creare (anche per mezzo di servizi di aggregazione e di social news), una propria offerta. Spacchettamento delle notizie, fruizione da più apparecchi, disintermediazione e re-intermediazione del prodotto informativo sono tutti elementi che hanno contribuito ad indebolire la posizione degli editori classici, creando nuovi modelli di consumo e generando nuove posizioni di gatekeeping.

In un sistema che tende alla polverizzazione e alla disintermediazione l’interesse dei lettori per i vari argomenti diventa ancor più cruciale.  Tale rapporto fiduciario si costruisce prevalentemente tramite la trasparenza; i lettori, cioè, sono interessati a conoscere come si arriva alla redazione di un “storia”, quali sono le fonti, e a ricevere spiegazioni nel caso di errori. Questa metamorfosi, rispetto ad un modello tradizionale di tipo gerarchico in cui la notizia calava dall’alto sul lettore, necessita anche di maggiori competenze specifiche visto che in alcuni casi sono proprio i lettori ad avere maggiori informazioni su di una specifica notizia o argomento.

La possibilità di valutare il bene solo dopo averlo “consumato” include l’informazione e i prodotti mediatici sicuramente anche tra i beni esperienza, introducendo un ulteriore aspetto di problematicità, ossia quello delle asimmetrie informative tra il consumatore e l’editore. In tal senso, la qualità dell’informazione è spesso soggetta a fallimenti di mercato perché non può essere facilmente derivata, se non dopo ripetuti atti di consumo, dall’utente finale. In questo contesto, il concetto di reputazione, e quindi la forza dei marchi, assume, specie nell’attuale momento, una rilevanza centrale nel sistema informativo.

Per migliorare la propria profittabilità, più che sul fronte dei ricavi, gli editori hanno proceduto in questi anni su quello dei costi dell’informazione, cercando margini di efficientamento. Ne è conseguita una contrazione degli investimenti nell’informazione, in tutte le sue componenti. Circa un terzo degli editori attivi dal lato dell’offerta di quotidiani è presente nel comparto da almeno trenta anni, mentre le società in attività da meno di dieci anni sono poco più del 20%. Insomma il nuovo non avanza o comunque avanza con grande fatica nel nostro Paese.

Ad oggi, in effetti, la sussistenza degli editori continua a dipendere in maniera preponderante dall’entità dei ricavi conseguiti grazie alle testate cartacee. In tal senso, la figura successiva evidenzia palesemente che l’incidenza delle entrate generate dal prodotto cartaceo è di gran lunga maggiore (pari ancora al 90% nel 2014) rispetto al prodotto digitale, sebbene quest’ultimo abbia visto raddoppiare il suo peso negli ultimi cinque anni. L’attività tradizionale, sul mezzo cartaceo, rimane il core business di gran parte delle società editrici, le quali, al di là delle dichiarazioni d’intenti, di fatto tentano di mettere in atto strategie di difesa dei ricavi derivanti dalla carta stampata, seppure molto spesso questo avvenga in maniera scomposta e dunque poco efficace.

Gli editori online nativi digitali presentano nel complesso una struttura dei ricavi piuttosto sbilanciata sul versante pubblicitario, essendo le offerte informative a pagamento limitate per lo più alla proposizione di contenuti con un elevato livello di specializzazione in determinati settori e rivolti a nicchie specifiche di utenti molto ristrette. È questo allo stato attuale il maggior limite alla sostenibilità della maggior parte delle testate sia per quanto riguarda il presente che, ancor più, se possibile, in prospettiva.

I giornali hanno avuto 20 anni per capire Internet ma pare che nella stragrande maggioranza dei casi siano ancora ben lontani dal comprenderlo. I giornali, complessivamente, continuano ad essere online ma non a far parte della Rete. Finché questo passaggio culturale non sarà pienamente compiuto continueranno le difficoltà.

Nel libro ho cercato di assemblare, di fissare e trasferire quasi 10 anni di pensieri, riflessioni ed esperienze con l’obiettivo di fornire strumenti concreti di azione. Come nel caso del mio precedente libro (L’Edicola del Futuro, Il Futuro delle Edicole. Ovvero che fine farà la carta stampata) se chi legge avrà ricevuto sufficienti spunti e stimoli di riflessione e, soprattutto, di azione, allora mi riterrò soddisfatto.

 

 

 

 

 

 

 
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