Diana Daneluz
Un interessante confronto sul ruolo del relatore pubblico e del comunicatore, per il suo positivo impatto sull’intera comunità civile, quello che si è tenuto lo scorso 1° dicembre online, organizzato dalle Delegazioni FERPI Lazio, Emilia-Romagna e Triveneto.
Si è tenuto per iniziativa delle Delegazioni FERPI Lazio, Emilia-Romagna e Triveneto un Digital Talk per la presentazione della traduzione in lingua italiana, a cura di Lorenzo Canu, del Global PR & Communications Model 2021, ideato da Corporate Excellence – Centre for Reputation Leadership, e Global Alliance for Public Relations and Communication Management. Tanti i soci collegati, che ha visto anche la partecipazione della Presidente, Rossella Sobrero.
Nella sua introduzione Giuseppe de Lucia, Delegato FERPI Lazio, ha ricordato come FERPI presenti regolarmente i documenti internazionali di Global Alliance, rendendoli disponibili ai propri soci e non solo, documenti che si rivelano sempre utili per l’attività e l’evoluzione della nostra professione, nell’ottica di un lavoro che ha necessità di cambiare, sia per le conseguenze indotte dalla pandemia sia per le trasformazioni digitali e tecnologiche. Biagio Oppi, Delegato FERPI Emilia-Romagna e relazioni internazionali, ha avviato la riflessione sul Modello sottolineandone gli aspetti di continuità e discontinuità. Global Alliance ha redatto infatti una serie di importanti documenti sulla professione, dagli Stockholm Accords al Global Capabilities Framework passando per il Melbourne Mandate, ma tra l’uno e l’altro si aprivano piccole crepe temporali e di senso che in qualche caso hanno anche finito con l’ingenerare confusione. Questo Modello, invece, si è rivelato come una raccolta del meglio di quanto si è prodotto negli ultimi 12 anni all’interno di un documento organico, che parte dall’assunto della centralità della comunicazione e delle relazioni pubbliche nelle organizzazioni e della fondamentale rilevanza che hanno assunto gli asset intangibili oggi. Il Modello potrà essere usato sia all’interno delle organizzazioni e delle aziende sia dai consulenti di Relazioni Pubbliche e Comunicazione.
Perché una traduzione
L’idea di tradurre il Modello in italiano e poi di realizzare una tesi (in inglese, stavolta) in Comunicazione d’impresa con il nostro Biagio Oppi – Global PR & Communication Model 2021: Application and applicability in Italy – che ne verificasse la sua applicazione ed applicabilità nel tessuto italiano, è venuta al giovane neolaureato in Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Bologna, attualmente tirocinante in Comunicazione a Bruxelles e membro di Comm To Action, Lorenzo Canu, che nell’incontro ha spiegato perché. Per la sua novità e perché il Modello ha molto in comune con temi come la responsabilità sociale di impresa, come il brand, come la sostenibilità e gli altri asset intangibili che non possono più in alcun modo essere considerati come temi di secondo piano, pena – ha detto – che le stesse professioni del Relatore Pubblico e del Comunicatore siano alla stessa stregua considerate di secondo piano. Questo Modello è lo strumento utile a dimostrare proprio l’utilità di queste figure per le organizzazioni e le imprese che a quelle istanze devono rispondere nei confronti dei propri stakeholders.
In particolare, i cinque Building Block strategici individuati dal Modello come generativi di valore per organizzazioni e imprese mostrano l’importanza di un approccio professionale: 1) il purpose: perché un’azienda (o un’organizzazione) esiste, ciò che la differenzia. I professionisti delle RP possono costruire una reputazione sulla base del purpose; 2) brand e brand culture: è un lavoro da professionisti allineare persone su valori condivisi, valori costruiti nel processo di definizione del purpose tenendo conto delle istanze di tutta la comunità degli stakeholders o della loro maggioranza; 3) la gestione della reputazione e dei rischi reputazionali, forse la parte più affascinante delle Relazioni Pubbliche, per Lorenzo Canu: la gestione della comunicazione di crisi. E questo il modello lo illustra dimostrando come nella gestione di asset intangibili a tutela della reputazione il professionista venga ad assumere un ruolo da tecnico a strategico; 4) il miglioramento della comunicazione, nel fondamentale allineamento di comunicazione interna ed esterna, attraverso una social media policy e il coinvolgimento dei dipendenti come ambassadors; 5) e infine il blocco sulla misurazione e valutazione: il modello fornisce delle metriche per valutare come il professionista PR possa avere un ruolo impattante e anche dimostrarlo quotidianamente.
La traduzione in lingua italiana, inoltre, renderà il Modello più fruibile e il beneficio che potrà portare alla società è per il suo autore talmente importante che ne auspica così una diffusione la più ampia possibile.
Tra i contributi alla tesi
La valutazione su applicazione e applicabilità del modello in Italia è stata condotta nella tesi di laurea attraverso alcune interviste a Ceo, ai redattori del Modello e ad esperti, tra cui Vincenzo Manfredi, che è intervenuto durante il talk innanzitutto nel merito del confine tra scienze politiche e relazioni pubbliche, ricordando come negli Stati Uniti certe competenze siano piuttosto ritenute pertinenti alle facoltà di Scienze Politiche. In Italia, una riflessione più recente, a partire dall’elaborazione della figura del relatore pubblico come “tessitore sociale” con Aldo Bonomi e Toni Muzi Falconi, ma ancora prima con il pensiero di Pierre Bourdieu (“il capitale - inteso da Bourdieu come risorsa che conferisce dei vantaggi a chi la possiede – relazionale, evocativo, simbolico è ciò che ci consente di costruire e condividere valore…”), sottolinea il valore dell’ “advocacy crescente”: cambiare approccio e, attraverso ad esempio la rendicontazione, l’integrating reporting nelle sue accezioni più diverse, dare conto appunto dei valori di sostenibilità che aziende ed organizzazioni devono avere, attraverso la funzione dei Relatori Pubblici. Un modo diverso, ha sottolineato Manfredi, di stare dentro un capitalismo che sta cambiando e cambierà sempre di più. Anche Giampaolo Iazzoni, docente e manager della comunicazione, ha fatto eco a Manfredi definendo esemplare il Modello che ha detto rappresentare per lui uno dei punti più elevati di consapevolezza della professione nel proprio compito in questo momento storico, apprezzando poi sia il lavoro di traduzione di Lorenzo Canu del Modello e le sue motivazioni sia l’attività stessa costante della Ferpi di riflessione e di condivisione di strumenti come questi, utilissimi anche per la comunità accademica. Per il Professore, Scienze Politiche dovrebbe fare parte della Facoltà di Comunicazione, e non il contrario, e questo perché è talmente importante la comunicazione in questi anni nelle dinamiche politiche e istituzionali che veramente sta diventando sempre di più la “meta-disciplina”. Pensando al PNRR per esempio, se c’è un documento, una prospettiva strategica, in cui il ruolo del dialogo tra organizzazioni e istituzioni e tra una organizzazione e l’altra è centrale, è proprio il PNRR. Non c’è cosa nel PNRR tra quelle che saranno o potrebbero essere finanziate che non debba essere fatta insieme ad altri, in un’ottica sempre collaborativa in cui la comunicazione, e anche la comunicazione delle strategie, è centrale. Uno dei filoni importanti del PNRR è quello degli ecosistemi, e un ecosistema non fa altro che mettere insieme Istituzioni, imprese e territorio all’interno di un progetto organico e pertanto con una visione, un purpose. Con all’opera modalità di comunicazione tipicamente da Relatore Pubblico sia nella costruzione delle reti delle relazioni sia in senso stretto nella comunicazione delle stesse. La Comunicazione, pertanto, è sempre più importante per la politica, per le Istituzioni, per l’economia e per la vita delle nostre comunità.
Le difficoltà delle medie, piccole e piccolissime imprese
Se il Modello sancisce, in un certo senso, l’attualità e la necessità delle competenze in capo ai Relatori Pubblici e ai Comunicatori per le aziende, è tuttavia anche vero che da parte delle PMI che costituiscono la maggioranza all’interno del tessuto imprenditoriale italiano non è ancora così automatico l’impiego di tali professionisti, per motivazioni di carattere economico, ma anche culturale. Lo ha confermato nel suo intervento Rossella Sobrero, che di sostenibilità si occupa da anni nella convinzione che fosse (e sia) l’unica strada da percorrere, e che rileva come tale criticità per questo segmento di imprese esista, imprese che non riescono ancora a modificare il loro stesso modo di fare impresa, non riescono cioè ad attuare quella necessaria “metamorfosi” nel loro modello di business. Va meglio per le medie imprese, come ha dimostrato anche il recente Oscar di Bilancio Ferpi, che attraverso la rendicontazione, pur non essendo obbligate, hanno voluto mettere in evidenza gli aspetti non finanziari del loro bilancio. Dall’Europa peraltro, con un processo che dovrebbe durare un triennio, si arriverà all’imposizione dell’obbligo di questo tipo di rendicontazione degli aspetti sociali e ambientali per circa 49.000 imprese (Ugo Bassi). Questa pressione da parte dell’Europa, assieme a quella strategica esercitata in questo senso dalle grandi imprese nei confronti delle PMI della loro filiera e a quella del mercato che sempre più richiede trasparenza sugli aspetti di sostenibilità e impegno per la società civile delle aziende, dovrebbero accelerare quella metamorfosi. E qui i comunicatori possono dire la loro, per la redazione dei bilanci definitivamente sdoganati come “strumenti di comunicazione”, per la identificazione del purpose aziendale e la conseguente definizione delle strategie a monte degli interventi non finanziari da mettere in campo, nella comunicazione ed informazione presso gli stakeholders e nell’ingaggio degli stessi dipendenti, da rendere ambasciatori dei valori aziendali, e ambasciatori “credibili”.
Riguardo all’employer branding, per Mauro Covino, anche per quella che è la sua esperienza con le varie Pubbliche Amministrazioni, gli italiani sono sempre poco propensi a parlare bene del proprio posto di lavoro, tanto più nel Settore Pubblico, dandone viceversa spesso un’immagine negativa e quindi è un cambiamento di atteggiamento culturale, di quello che appare come un vizio mentale, che andrebbe innescato, per favorire anche in questo ambito professionale la giusta mentalità del Dipendente come Ambassador della struttura ove opera; mentre Biagio Oppi è stato più ottimista, riportando i dati più confortanti dell’ultimo Edelman Trust Barometer sulla percezione delle organizzazioni da parte dei propri dipendenti. Sicuramente – ha detto – possiamo fare di più, incrementando l’applicazione degli strumenti di analisi interna e di ascolto organizzativo che abbiamo, dalle indagini quantitative a quelle qualitative: migliorare l’ascolto dei colleghi all’interno dell’azienda potrebbe consentire di costruirci sopra delle strategie migliori, perché riusciremmo a tarare meglio anche le nostre aspettative rispetto all’ambassador interno, appunto grazie a uno sforzo maggiore di ascolto profondo.
Una delle curiosità emerse, grazie alla suggestione di Claudia Gambarotta rivolta in particolare a Rossella Sobrero, ha riguardato l’applicabilità del Modello al mondo delle organizzazioni associative no-profit. La Presidente di FERPI ha ricordato come gli enti di terzo settore stiano subendo una vera metamorfosi anch’essi, che li pone nella necessità di adeguarsi ad una maggiore trasparenza, la riforma ad esempio prevederà l’obbligo di pubblicazione del bilancio. Il cambiamento in corso che non potrà non riguardare anche il terzo settore che dovrà aprirsi sempre di più, essere più professionale, anche favorendo il ricambio generazionale e l’inserimento dei tanti giovani talenti. Sicuramente c’è necessità di crescere tutti, la stessa Pubblica Amministrazione deve accelerare su alcuni aspetti. Se tutti si mettessero insieme in una logica più collaborativa, meno antagonista e meno autoreferenziale, si potrebbero raggiungere più velocemente risultati utili per tutti.
Anche Filippo Nani, Delegato FERPI Triveneto, per l’ esperienza maturata nella sua agenzia PR situata nel nord-est della penisola, si è detto possibilista sull’applicazione del modello al lavoro dei relatori pubblici e dei comunicatori in Italia. Ma se è vero che, anche in conseguenza alla scossa pandemica, è mutato l’atteggiamento dei consumatori verso le aziende e quindi si richiede ad esse di comunicare tutto quello che il modello individua, è anche vero che nella maggior parte dei casi le piccole e medie imprese non integrano nel proprio organico le figure dei professionisti della comunicazione, ma se ne avvalgono come consulenze esterne che forse con maggiore difficoltà che dall’interno stanno comunque raccogliendo la sfida di accompagnarle nel cambiamento: non per aiutarle a “vendere” prodotti, ma a trasmettere efficacemente valori condivisi in azienda. La sfida è proprio quella di aiutare le imprese a trasformare i loro intendimenti in atti concreti. Condivide Lorenzo Canu: la direzione è fissata, il mercato lo chiede e i fondi ci sono. Come ha ribadito anche lo studente, non si sta più solo parlando di vendere meglio, ma di aiutare aziende ed organizzazioni a trasmettere valori capaci di impattare positivamente sulla società tutta. I relatori pubblici e i comunicatori possono farlo attraverso delle “tecniche” che nel modello sono indicate e che la diffusione del documento in lingua italiana potrà aiutare a diffondere: quei 5 block di cui si diceva sopra costituiscono un vero e proprio “tool kit” per i professionisti. Una modalità in particolare per riuscire a collaborare e dimostrare l’efficacia del comunicatore e del professionista PR è quella di guidare dei gruppi che riescano a connettere diverse metriche di intelligence (Building Block 5).
C’è ancora del lavoro da fare per il riconoscimento pieno di questo ruolo, ma la strada è tracciata, la riflessione critica sulla professione è ricca di apporti, il terreno è fertile e i tempi sono davvero maturi.