Questo è certo uno di quei problemi deontologici che qualsiasi agenzia di comunicazione non vorrebbe trovarsi ad affrontare. L'agenzia di rp australiana Icon Communications, che ha curato la campagna per il lancio del servizio di peer-to-peer Kazaa, è stata costretta dal giudice a consegnare tutto il materiale riguardante il suo scomodo cliente che è accusato dall'industria discografica australiana di favorire la pirateria online: le bozze dei progetti, i piani strategici, le ricerche di mercato, le media analysis, qualsiasi appunto o file, ogni e-mail e annotazione che abbia per oggetto Kazaa e il peer-to-peer sono finiti nelle mani dei giudici.Icon non è direttamente imputata nel processo in corso, ma la sua posizione è pericolante e le cose potrebbero mettersi peggio qualora le autorità giudiziarie scoprissero che ha contribuito a pubblicizzare un servizio incitando alla pirateria online.A sollevare il caso in tribunale è stata la lettura di uno slogan effettivamente poco edificante:"La rivoluzione di Kazaa: per 30 anni abbiamo comprato la musica che volevano loro; per 30 anni abbiamo visto i film che volevano loro; per 30 anni abbiamo pagato i prezzi che volevano loro; per 30 anni abbiamo ingoiato quello che ci propinavano; per 30 anni abbiamo comprato la porcheria che non volevamo; da 30 anni siamo pecoroni. Oggi con un solo click e con la condivisione di files stiamo cambiando il mondo. Kazaa è la tecnologia, tu sei il guerriero. 60 milioni di duri si sono svegliati. Unisciti alla rivoluzione".Icon Communications, agenzia di rp assoldata da Kazaa, si trova implicata nel processo in corso contro il più famoso servizio di file-sharing.