Alessandro Papini
Nel momento della crisi prendersela con le Istituzioni è il peggior lavoro che la comunicazione possa fare. Oggi è il tempo della collaborazione e della condivisione. E Ferpi può giocare una partita importante per il rilancio del Paese.
La crisi è al suo massimo e, in puro stile nazionale, non manca chi spara sul paziente. Le istituzioni centrali e locali stanno lavorando a ritmi incessanti per capire, codificare e arginare un’emergenza mai vissuta prima.
La crisi ha raggiunto appena l’ottavo giorno e ha già stravolto la vita di mezzo Paese, apprestandosi a sconvolgere quella di tutti gli italiani. I territori che producono da soli la metà del Pil nazionale sono in stallo e le aziende faticano a orientarsi nelle ordinanze e nei DPCM che ne limitano l’operato.
Ma tra i colleghi c’è sempre il primo della classe. Quello che avrebbe fatto meglio. Quello che “si doveva adottare una strategia diversa”. Quello che, dal salotto di casa, avrebbe risolto la situazione senza morti e feriti. Quello che “la dottrina della comunicazione di crisi e di emergenza…”.
La sensazione è che, come spesso capita, la ricerca di visibilità mal si confaccia a un approccio serio e professionale al problema e non di meno rischi di procurare più danni che benefici. Perché “la critica per la visibilità”, per sua natura assume un carattere necessariamente generalista e qualunquista, facile e di immediata comprensione, popolare e buonista. Ma inutile a chi operi sul campo. Completamente inefficace rispetto al terreno dei bisogni reali. Inadeguata rispetto alla complessità delle questioni trattate.
Perché nella società dell’informazione digitale, che consente a chiunque di agire sul piano della produzione dei contenuti e dei messaggi senza controllo e senza riscontro, in cui il metro di giudizio pende più per il like che per il merito del problema, la dimensione dell’approfondimento, della verifica e del confronto è spesso secondario rispetto all’immediatezza del facile consenso digitale.
Il problema è che il like non sempre riesce a interpretare il valore di decisioni che per necessità, urgenza e opportunità appaiono (o sono) impopolari e scomode. Con la conseguenza che la banalizzazione del male, anche a fin di bene, generi immensamente più danni che benefici.
Perché certo chiudere e blindare i territori, piazzando l’esercito e la polizia a presidiarne i varchi, vietare agli esercizi di operare, annullare la vita sociale delle persone non è una scelta facile e semplice per istituzioni e governo. E certo, le istituzioni hanno l’obbligo di perseguire la ricerca del consenso più ampio possibile rispetto alle proprie scelte, anche quelle più difficili e complicate, affinché l’opinione pubblica sia coinvolta, informata e inclusa nella meccanica della scelta stessa.
Ma come non dar ragione a Mario Morcellini, quando sostiene che “nei momenti di crisi sociale prendersela con le istituzioni è il peggior lavoro che può fare la comunicazione. Non solo perché c’è il rischio di fare il gioco di certe voci, come se la soluzione dei problemi dipendesse dalla struttura di governo, ma perché in tempi di ansia collettiva non si può aggiungere quella della possibile assenza o messa in crisi del governo. E questo vale per qualunque governo sia in carica”.
E allora vivaddio lasciamo lavorare i colleghi e piuttosto pensiamo a come metterci tutti al servizio di una città, di una Regione e di un Paese che sta affrontando un dramma nuovo e improvviso.
Il lavoro sarà ancora lungo e faticoso. Ci sarà bisogno di comunicazione sociale, di promozione territoriale, di valorizzazione internazionale, di gestione dei processi relazionali con gli apparati sanitari, con i pazienti e con le loro famiglie, di riordinare la vita delle persone, di riportare la fiducia nelle istituzioni, di lavorare alla ricomposizione nord-sud, di operare nel campo della ripresa delle attività turistiche, di rilanciare i consumi e ritornare a fare gli aperitivi.
E ci sarà il tempo per analizzare le scelte fatte e le strategie adottate, le decisioni prese e gli errori compiuti.
Oggi la sensazione è che non sia il tempo della polemica quanto piuttosto il momento della coesione, anche nel complicato sistema della Comunicazione e delle Relazioni Pubbliche. Mettersi al servizio della propria comunità significa “donare” pezzi di professionalità, tempo e lavoro in ottica pubblica e civica. E chi meglio di Ferpi potrà essere il contenitore di alcuni di questi pezzi?