Anna Romanin
Il 19 e il 26 giugno Mariagrazia Villa docente, giornalista e copywriter parlerà di Brand Journalism come supporto alla comunicazione d’impresa, utile per consolidare i rapporti con gli stakeholder e influire positivamente sull’immagine e la reputazione dell’impresa stessa.
“Due parole sulla strana coppia”, cominci così il tuo libro Brand Journalism. Ci racconti Mariagrazia come stanno insieme Brand e Journalism?
A prima vista, brand e journalism sembrerebbero il mismatch per eccellenza, una discrepanza tra le esigenze di comunicazione delle aziende e le competenze dei giornalisti. In realtà, non è così: il rapporto tra realtà profit e professionisti dell’informazione si rivela un matrimonio più che riuscito. A patto, naturalmente, di non confonderlo con il content marketing. Il brand journalism o giornalismo aziendale, infatti, non ha lo scopo di promuovere la vendita di prodotti o servizi attraverso la produzione di contenuti, ma di raccontare quanto ruota attorno alla marca attraverso veri e propri articoli giornalistici.
Come è nata l’idea del libro?
L’idea del libro è nata dal desiderio di mostrare come il brand journalism non sia un giornalismo di serie B, ma una seria e qualificata opportunità di lavoro. Da un lato, le aziende hanno sempre più bisogno di comunicatori capaci di comprendere quali siano le informazioni più rilevanti per i propri pubblici di riferimento e di saperle narrare con storie interessanti, emozionanti e arricchenti in termini di valore. Dall’altro, i giornalisti stanno vivendo una profonda crisi identitaria e occupazionale, nell’attuale sistema dei media, e possiedono la formazione ideale per consentire a un brand di diventare una fonte accreditata di notizie in un determinato ambito e un thought leader nel proprio settore e non solo.
Hai definito 4 principi del Brand Journalism, ce li puoi dire brevemente?
Il giornalismo d’impresa, così come quello tradizionale, svolge un servizio pubblico e ha bisogno di altissimi standard etici e deontologici. Naturalmente, I brand hanno motivazioni economiche che, talvolta, possono entrare in conflitto con i valori del giornalismo, e il reporter della marca deve avere un riguardo morale doppio, rispetto a quello che avrebbe, se lavorasse per una news organization classica. A mio parere, i quattro principi morali che dovrebbe possedere sono: professionalità, affidabilità, trasparenza, autonomia.
Qual è la cosa che hai imparato scrivendo il libro?
Mi sono ulteriormente convinta che la professione del giornalista può essere orientata a narrare il mondo per conto delle aziende, senza rinunciare, per questo, ad avere la “schiena dritta”. Rispetto al giornalismo tradizionale, nel brand journalism cambia l’organizzazione per cui si lavora, ma l’approccio e il rigore metodologico con cui si selezionano e si danno le notizie, gli strumenti e le tecniche che si utilizzano rimangono gli stessi. Per il resto, come scrive Giovanni Rossi nella prefazione del mio libro, “il giornalista ha sempre un padrone”, che ci piaccia o no. Personalmente, avendo lavorato sia per i media che per le aziende, mi sono sentita molto più limitata nella mia passione per la verità e nella mia libertà d’opinione dai primi che dalle seconde.
Noi soci FERPI abbiamo spesso a che fare con le aziende, imparare a fare Brand Journalism nel modo migliore può essere una risorsa importante, giusto?
Sì, senz’altro. Potete aiutare i brand a raccontare perché esistono (purpose), quali obiettivi vogliono raggiungere (vision), come intendono farlo (mission), in cosa credono (values), per che cosa si battono (corporate activism) e per quali aspetti si differenziano dai competitor (positioning). Così come chi cura le relazioni pubbliche di un’azienda, anche il brand reporter mira a comunicare l’impresa al mondo esterno e a consolidare i rapporti con i pubblici di riferimento dell’organizzazione, con il fine di influire positivamente sull’immagine e la reputazione dell’impresa stessa.