Sergio Baraldi
Una riflessione sui contenuti, sulla loro valuta sociale e identitaria, che deve superare molte barriere per raggiungere i pubblici connessi e introdurre una matrice etica nella qualità. E l’etica rende la comunicazione non solo una professione, ma una vocazione.
Negli ultimi tempi alcuni professionisti delle Relazioni pubbliche e giornalisti che lavorano nel settore, tra cui Enzo Rimedio sul sito di FERPI, hanno sostenuto la necessità che il settore investa in modo strategico nella qualità dei contenuti. È una proposta che va condivisa: invita il settore ad un cambiamento che investe la cultura professionale e i processi organizzativi delle aziende. Questi autori rilanciano e aggiornano le idee del content marketing, una delle teorie più importanti sul management. Alla qualità, tuttavia, occorrerebbe accostarsi senza illusioni: andrebbe intesa come una sfida non come una formula magica. Il successo non è garantito, ma non per questo il compito deve essere evitato. Se inquadriamo il tema all’interno del contesto più ampio del nuovo sistema digitale dei media, possiamo comprendere vantaggi e problemi che deve affrontare la qualità. La sfida richiede competenze adeguate. Ci sono barriere da oltrepassare. Serve conoscenza del nuovo scenario della comunicazione. Mentre è comparso un soggetto rilevante: l’Intelligenza Artificiale.
La trasformazione della qualità dai mass media ai social
In passato il modello di marketing che dominava era quello definito “marketing dell’interruzione”. Le aziende acquistavano annunci sulla stampa, sulle tv, manifesti lungo le strade, depliant da distribuire. Ma indipendentemente dal canale di distribuzione prescelto, il modello prevedeva che le imprese interrompessero i consumatori durante le loro attività quotidiane per mostrare i propri prodotti o servizi. Questo modello è rimasto valido a lungo, è presente ancora oggi, ma non è più dominante. Con i media di massa le aziende che disponevano dei mezzi economici potevano acquistare inserzioni, garantendosi un accesso privilegiato al sistema. Giornali e tv, del resto, avevano con lettori e telespettatori una relazione unilaterale, decidevano ciò che cittadini e consumatori dovevano sapere. Le aziende potevano intercettare le percezioni e l’interesse dei diversi target per fare sentire la propria voce. Nella società di massa, dunque, il potere economico si trasformava in potere comunicativo. La qualità svolgeva un ruolo meno cruciale, perché l’interruzione assicurava in ogni caso visibilità. Era una relazione imposta dall’alto verso il basso.
L’affermazione del digitale con i social networks ha mutato lo scenario. La rete sociale è diventata il sistema di riferimento, i rapporti di potere comunicativo del vecchio modello sono stati messi in discussione. I social network si possono definire, seguendo il sociologo Manuel Castells, mezzi di “auto-comunicazione di massa” dove ogni individuo connesso può produrre contenuti, che possono essere visualizzati da tutti. La stessa società è cambiata. Abbiamo assistito a una ridefinizione della comunicazione e delle relazioni collegate. I social sono caratterizzati da modelli di relazione “da pari a pari”, hanno instaurato una logica orizzontale. Chi vuole promuovere prodotti e servizi ha perso il privilegio di potersi affermare solo tramite la forza economica.
Nella rete sociale non mancano pubblicità o sponsorizzazioni, ma è più difficile imporsi al consumatore. Si deve mettere a segno l’operazione contraria: occorre conquistare l’attenzione degli utenti. Nel digitale esistono asimmetrie di potere, ma in teoria le presenze sociali sono tutte uguali. Ogni persona o azienda o istituzione ha le stesse possibilità di ottenere visibilità, di vedersi riconosciuta autorevolezza. I social facilitano un’espressione più ugualitaria e possono rappresentare canali più neutri rispetto ai mass media tradizionali. Il sistema digitale ha costruito un nuovo spazio pubblico in cui è nata una cultura della connettività, dove avviene una condivisione e una negoziazione delle regole. Con i mass media il controllo era sbilanciato dalla parte delle forze economiche, la rete ha restituito all’audience maggiore libertà di scelta. Un mutamento che ha portato alla strategia di personalizzazione dell’offerta di contenuti.
La svolta ha una ragione strutturale: i social hanno dato nuovo impulso al processo di individualizzazione. L’accesso alla auto-espressione è diventato semplice, disintermediato. Ciascuno ha la possibilità di costruire un proprio sé online a molteplici dimensioni. La centralità della auto-rappresentazione di sé, con lo sviluppo di diverse aree identitarie (l’esposizione di sé, la performance, la concezione di una ribalta di sé più originale e persino deviante) è stata resa dalle piattaforme un gesto di massa. Il nucleo identitario è costituito dalla possibilità (con i post, le reazioni, i commenti, le interazioni) di esprimere e definire se stessi. È il networked self che manifesta la propria identità relazionale, comunicando chi siamo in base al consenso che diamo o neghiamo. La riscrittura continua del proprio sé, suggerita dalle piattaforme, consente di sperimentare desideri opposti: il desiderio di conservazione, di continuità o quello di rinnovarsi; il desiderio di essere unici e originali e allo stesso tempo di conformità e appartenenza. La rivendicazione da parte dell’individuo della propria autonomia e auto-realizzazione ha così legittimato un assetto sociale e di mercato in cui l’audience si è scoperta attiva e libera di scegliere. La posta in gioco è diventata creare contenuti attrattivi in un rapporto in cui la domanda recupera potere rispetto all’offerta. La qualità si è candidata come fattore strategico. Le imprese o le istituzioni possono acquistare sul mercato le competenze necessarie, ma a differenza del passato le risorse non garantiscono visibilità. La storia di tante campagne costose ma fallite lo dimostra. Il valore (anche delle persone e delle aziende) viene spinto al centro dello scenario comunicativo. Il successo però non è garantito.
Il rumore e il mercato dell’attenzione
La possibilità che il valore dei contenuti coinvolga gli utenti dipende da molte condizioni. La prima è che il rumore non prevalga. Non tanto il rumore fisico (interferenze o malfunzionamento) che pure esiste. Il problema è il rumore semantico, che riguarda i significati che sono prodotti e recepiti da molteplici soggetti. Il flusso dei contenuti in rete, anche di quelli sponsorizzati, è enorme, supera le possibilità di attenzione degli individui. Nel web si è generato un sovraccarico di informazioni e contenuti mai visto. È il rumore all’interno del quale è difficile far udire la propria voce. La distrazione degli utenti è sempre in agguato: il sistema è caratterizzato da un’abbondanza di offerta, è un ambiente ad alta possibilità di scelta. E siamo circondati da una mole di contenuti spesso mediocri in cui non è agevole trovare la qualità. Le piattaforme si basano su forme di ingegnerizzazione dell’esperienza, che hanno come obiettivo intercettare l’attenzione degli utenti e modellare le loro abitudini di fruizione. Del resto l’economia contemporanea deve confrontarsi con il mercato dell’attenzione, nel quale è in atto una competizione per “colonizzare” la mente dei consumatori. Si tratta di un obiettivo che non è più un’esclusiva dell’industria pubblicitaria come in passato. I soggetti che agiscono in rete si sono moltiplicati: milioni di individui, organizzazioni, partiti, associazioni, gruppi, imprese, media, istituzioni. Tutti a caccia di attenzione. Ma le risorse attenzionali degli utenti sono limitate. Ci difendiamo inconsciamente tramite una selezione naturale su cosa dobbiamo focalizzarci, secondo processi cognitivi guidati per natura da velocità, sicurezza, risparmio di energia mentale. Complica il quadro il modo in cui l’attenzione può essere orientata e anche manipolata. Gli studi sugli effetti dei media, in particolare quelli sull’agenda setting (la composizione dell’agenda), ci hanno spiegato come sia possibile cambiare la salienza di un tema calibrando le notizie. Secondo lo studioso B. Cohen, ripreso dai teorici dell’agenda setting McCombs e Shaw, “i media non ci dicono cosa pensare, ma intorno a cosa pensare”. La rete però ha trasformato l’agenda setting da strumento che orienta l’attenzione in una competizione in cui molte fonti si contendono la possibilità di suggerire ciò che è rilevante. Uno dei meccanismi utilizzati è la ripetizione. Studi confermano che nel processo mentale la ripetizione cambia la cornice di riferimento della percezione di ciò che è importante. Fa apparire più valide le informazioni e influisce su ciò che possiamo considerare veritiero. Rumore e attenzione, quindi, possono ostacolare il riconoscimento della qualità.
Piattaforme, algoritmi, condivisione: la network logic
Le piattaforme, i “nuovi custodi di internet” seconda la definizione di Gillespie, hanno saturato il web, assumendo una funzione centralizzata di intermediazione, che struttura il flusso informativo attraverso gli algoritmi di visualizzazione. Tutti gli attori devono fare i conti con questi fattori di mediazione sempre più invisibili. I contenuti di qualità non sfuggono alla regola. È la “piattaformizzazione” del mondo, come ha scritto van Dijck, e della sua cultura della connettività. Un esempio della potenza con la quale le piattaforme modificano i comportamenti è l’abitudine ormai “naturale” di condividere contenuti della sfera privata in pubblico. Si osserva qui quanto le piattaforme abbiano inciso sulle norme sociali, mescolando spazio privato e spazio pubblico un tempo rigidamente separati. La socialità che agisce nel nuovo ambiente digitale non va considerata la trasposizione di prassi sociali offline in un nuovo ambiente tecnologico. È qualcosa di nuovo. L’architettura delle piattaforme modella i modi in cui gli attori interagiscono, si relazionano, producono, condividono. Nella piattaformizzazione, spiega Maffesoli, le forme sociali sono forme comunicative. Viene incoraggiata una cultura della partecipazione degli utenti, che però cela una “datificazione” del mondo attraverso procedure codificate tecnicamente, di cui il bottone del “like” è il più famoso. Le piattaforme compiono una profilazione degli utenti, delle loro preferenze da utilizzare a fini di mercato. Sono le dinamiche del capitalismo delle piattaforme. Nonostante le apparenze, gli intermediari culturali sono presenti. Ma non sono più, come in passato, gli editori o le case discografiche o cinematografiche. Sono gli algoritmi. Loro stabiliscono come parametro di qualità la popolarità e l’engagement dei contenuti, collegati al database sugli utenti. Ma questi criteri non agevolano l’affermazione della qualità. Anzi l’agire connesso delle persone, la retorica dal basso, la lotta per l’attenzione, caratterizzano la società delle piattaforme attraverso un conflitto continuo tra diversi sistemi di valori e di credenze. Non sempre la qualità riesce a prevalere. Se le dinamiche dell’infrastruttura digitale intervengono sulla struttura sociale, è la network logic che attraverso le piattaforme filtra i contenuti rilevanti. Decide cosa è saliente. Guidata dalla misurazione di popolarità e coinvolgimento, la logica della rete non sempre spinge la qualità.
Nelle piattaforme non piace quello che piace, ma quello che è virale. Sembra questa la regola aurea su cui sono incardinati i social: osservare mostrarsi e misurarsi. I criteri per i quali un contenuto è molto condiviso rivelano che la qualità deve affrontare una forte concorrenza. Un fattore è la dipendenza sensoriale degli utenti. Non dimentichiamo che prima ancora di guidare i nostri processi cognitivi complessi, l’attenzione può essere agganciata da elementi sensoriali e percettivi semplici. Per esempio contenuti veloci, caratterizzati da contrasti cromatici, ripetitivi in modo da fortificare stimolo e messaggio, sono vincenti. Un video cattura l’attenzione nei primi 3 secondi. In questi istanti l’utente decide se continuare a guardarlo. C’è un catalogo di accorgimenti da seguire: cambiare l’inquadratura ogni pochi secondi, porre il volto in primo piano, guardare nella camera, perché lo sguardo calamita lo sguardo altrui. Nessuno può prescindere dalla dipendenza sensoriale e dalla sua rapida soddisfazione, anche chi sceglie di fare qualità. Alcuni studiosi si sono concentrati sulla struttura dei contenuti condensando tre principi: curiosità, sorpresa e suspense. Ma esistono altre raccomandazioni che mettono in risalto il potere delle emozioni come fattori attivanti. Non c’è dubbio che i contenuti emotivi si diffondono più velocemente. Hanno presa le emozioni positive (in particolare sorpresa e meraviglia) ma soprattutto funzionano le emozioni negative come la rabbia. Secondo alcune ricerche, quando qualcuno percepisce un’emozione online, il suo stato d’animo diventa più simile a quello dell’utente del post. I termini emotivi-morali accrescono la diffusione di contenuti che suscitano indignazione. La nostra mente è automaticamente attratta da contenuti associati a stimoli già presenti in noi. Agganciarsi a un tema di attualità può essere un fattore attivante: l’utente è già introdotto da più parti all’argomento e l’ attenzione viene agganciata.
Nella network logic non catturano la nostra attenzione solo i contenuti che ci sorprendono e annunciano una novità (il meccanismo delle notizie). Esercitano una forte attrazione contenuti che ci permettono di confermare i nostri modelli mentali, che ci rassicurano sulle nostre credenze, sui nostri valori. Preferiamo ciò che conosciamo, che ci è vicino, di cui abbiamo esperienza. Proprio la nostra esperienza diventa un criterio determinante nelle decisioni. Simili contenuti non mettono in discussione la nostra identità (vengono definiti “minimamente controintuitivi”), sono fuori dall’ordinario, ma non in modo tale da mettere in difficoltà il nostro sistema di interpretazione del mondo. Una conferma del ruolo delle risposte emotive viene dalle comunità di interesse sui social, che condividono valori e sistemi di interpretazione del mondo che, ha spiegato Paccagnella, nel gruppo “vengono messi al sicuro da ogni confutazione” . Una buona esca per l’attenzione sono poi i contenuti utili, che gli utenti possono spendere in un altro contesto. Molti di questi meccanismi non sempre giocano per la qualità.
Il difficile equilibrio identitario nelle piattaforme
Nella socialità digitale, quindi, dinamiche apparentemente contrastanti mettono alla prova il valore dei contenuti. C’è una dinamica della differenziazione e della distinzione, individuata da grandi sociologi come Simmel e Bourdieu, che ci spinge a condividere contenuti che esprimono novità e sorpresa. Ma è radicato il bisogno di conferma: condividiamo contenuti che rispecchiano quello che già sappiamo, pensiamo, che già ci piace. Per preservare il proprio equilibrio identitario nelle piattaforme gli utenti devono mediare tra l’invito ad esporsi al nuovo e l’urgenza della conferma, della sicurezza ontologica. Consapevoli di essere ormai non solo oggetti di comunicazione, come ha scritto Boccia Artieri, ma anche soggetti, gli utenti usano il racconto di sé come un prodotto funzionale ad alimentare relazioni, prendere posizione, esibire modelli valoriali. Per questo viene applicata una selezione inconscia a più livelli dei contenuti: all’ingresso tendiamo a non accogliere contenuti per noi dissonanti; in seguito operiamo una rielaborazione selettiva in cui tendiamo a interpretare secondo i nostri bisogni; infine abbiamo una memoria selettiva e dimentichiamo i contenuti che non corrispondono a ciò che vogliamo. Privilegiamo ciò che si è sedimentato nel nostro sistema di idee e di valori. Nella ricerca di conferma c’è la forza dell’imitazione di noi stessi. Ribadiamo in modo conservativo quello che siamo. Ma secondo filosofi e sociologi l’imitazione è iscritta nel nostro codice genetico (i neuroni a specchio l’hanno dimostrato). È un istinto che ci permette di economizzare energie mentali nella relazione con la realtà: guardiamo chi è già guardato, facciamo ciò che fanno altri, perché pensiamo che se molti agiscono così, quel desiderio ha una motivazione. È il meccanismo del contagio virale, innescato dall’imitazione, che spesso mette in ombra la qualità.
Il rapporto tra domanda e offerta sui social oggi è sbilanciato a favore della prima. La qualità dei contenuti, la loro valuta sociale e identitaria, deve superare molte barriere per raggiungere i pubblici connessi. Nonostante i rischi, è un compito che va perseguito. Contribuire a migliorare la sfera pubblica, essere responsabili verso se stessi, verso il pubblico, oltre che verso i committenti, introduce una matrice etica nella qualità. E l’etica rende la comunicazione non solo una professione, ma una vocazione.