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La “fede” in versione 2.0

31/07/2012

Nata cinque anni fa, _Avaaz_ è una community con una semplice missione democratica: “organizzare i cittadini di tutte le nazioni per avvicinare il mondo che abbiamo al mondo che la maggior parte delle persone ovunque vorrebbero”. Un esempio straordinario della potenza di Internet come mostra _Luca Poma._

di Luca Poma
Avaaz è un’organizzazione no-profit, apartitica, non confessionale e indipendente, come ve ne sono tante che si occupano di campagne per il rispetto dei diritti umani. Ma Avaaz – termine che in lingua persiana, hindi e hurdu significa “il suono che rompe il silenzio" – ha una caratteristica che l’ha resa unica, in ragione di quanto ha aperto una nuova strada che l’ha differenziata anche dalla più strutturata Amnesty International: aggrega consensi su base transnazionale ed esclusivamente su internet.
“Quando abbiamo lanciato Avaaz 5 anni fa – ha dichiarato un membro del team dell’organizzazione – ci dicevano che era impossibile costruire una comunità mondiale basata su valori condivisi oltre i confini nazionali, perché siamo tutti troppo diversi tra noi. Ma abbiamo imparato che i legami che ci uniscono nonostante età, nazionalità, razze e religioni diverse, sono più forti di tutto quello che può dividerci. E settimana dopo settimana ci uniamo per cambiare il mondo in cui viviamo, e a volte vinciamo”.
Oggi più di 15 milioni di membri in tutto il mondo lavorano ogni settimana affinchè le opinioni e i valori dei cittadini di ogni parte del mondo abbiano un impatto sulle decisioni globali dei governi e delle multinazionali. I membri attivi di Avaaz vivono in ogni nazione del mondo, mentre la squadra operativa del team di coordinamento è distribuita in 19 paesi in 6 continenti diversi, e opera in 14 lingue. Ovviamente Avaaz è presente su Facebook e su Twitter, con oltre 700.000 tra fans e followers.
Sul sito www.avaaz.org , che è la principale piattaforma di lavoro dell’organizzazione, si dichiara che lo staff di Avaaz scrive le e-mail alla comunità nello stesso modo in cui un assistente scriverebbe le cartelline informative a un Presidente o a un Primo ministro: c’è solo un momento per convogliare tutta l’informazione di cui il lettore ha bisogno per decidere se impegnarsi in una campagna o meno, e la sopravvivenza della campagna stessa dipende da quella decisione. Per valorizzare quel momento di attenzione, è dovere dello staff trovare il modo migliore in cui un paio di minuti – moltiplicati per un grande numero di persone – possa fare una differenza genuina su qualcosa di importante.
Ma non è lo staff di Avaaz a decidere l’agenda, a convincere i membri su ciò che c’è da fare, anzi, è l’opposto: lo staff ascolta i membri che suggeriscono le azioni che si possono intraprendere per incidere nel mondo. Non è un caso, quindi, che le migliori campagne siano state proprio suggerite dai membri di Avaaz. La leadership è una parte critica del servizio ai membri: nella vita di un problema o di una causa, sorge talvolta un momento in cui va presa una decisione, e improvvisamente un appello pubblico può fare la differenza, ed è in quell’esatto momento che Avaaz interviene.
L’organizzazione è interamente finanziata dai membri, nessun importante gruppo economico e nessun governo può insistere perché Avaaz sposti le sue priorità sulla base di un’agenda esterna: Avaaz dichiara di non accettare finanziamenti da governi o aziende. Tuttavia, è bene dare spazio anche alle voci critiche verso Avaaz, provenienti da diverse fonti della sinistra estrema che – invero con toni spessi di complottasti – accusano l’organizzazione di promuovere istanze spesse volte “contigue” agli interessi occidentali, comprovate – a loro dire – sia dai rapporti tra Avaaz e l’analoga organizzazione MoveOn, vicina al Partito Democratico USA del Presidente Obama e sostenuta anche dal magnate ungherese George Soros, che dai rapporti esistenti tra Ricken Patel, uno dei fondatori di Avaaz, e il patron della multinazionale informatica Microsoft, Bill Gates. Gli stessi critici di Avaaz però difendono gli interessi cinesi, definendo il Dalai Lama un “separatista feudale”, e all’inizio dei disordini in Siria si sono schierati a favore del regime, definendo i massacri di civili delle “sicure falsità” ed elogiando il lavoro di Assad come “molto avanzato sotto il profilo dei diritti sociali a favore dei lavoratori”.
Più preoccupanti – se confermate – le tecniche a volte border-line utilizzate da alcuni attivisti di Avaaz per promuovere attacchi ai siti di note aziende e multinazionali, se è vero che alcuni relatori pubblici accusano l’organizzazione di peccare di scarsa autenticità utilizzando profili Twitter “fake” per viralizzare le proprie azioni di protesta.
In ogni caso, le petizioni di Avaaz hanno fatto la differenza in più di un’occasione, dal sostegno agli scioperi della fame anti-corruzione in India al blocco di leggi anticostituzionali in diversi paesi Africani, da iniziative contro la tratta delle bambine a fini sessuali, al contributo dato al blocco della costruzione di una mega diga in Amazzonia. Avaaz ha anche avviato alcuni progetti off-line in linea con le proprie policy: ad esempio, durante la primavera araba ha finanziato con le donazioni di quasi 30.000 avaaziani una fornitura in Siria, Yemen e Libia di telefoni di ultima generazione, modem internet satellitari e apparecchi per la comunicazione, permettendo così ad attivisti per i diritti umani di entrare in connessione con i principiali media del mondo e creando l’opportunità di rilanciare notizie con servizi e testimonianze per la CNN, BBC, Al Jazeera e molte altre televisioni e radio occidentali.
Questo per quanto riguarda la storia e le modalità di funzionamento dell’organizzazione. Ma nulla di tutto ciò che ho letto in 20 anni di professione renda più l’idea di cosa sia il web 2.0 che non questo messaggio, apparso in queste ore sul sito di Avaaz e rilanciato istantaneamente su tutte le email degli aderenti:
“Cari amici, la settimana scorsa Ria, un’iscritta di Avaaz nel Regno Unito, ci ha spedito queste parole:‘Ho 65 anni, sono malata terminale di cancro e mi rimane poco da vivere. Per colpa della mia malattia posso fare molto poco. Mi spezza il cuore vedere il livello di violenza a cui siamo arrivati e lo stato in cui versa il mondo oggi. Attraverso la vostra organizzazione perfino io posso fare la differenza e provare a migliorare il mondo in cui viviamo prima di lasciarlo. Questa è un’azione positiva e pacifica che mi dà un grande conforto. Non sono più impotente e inerme: posso votare, e ora ho il potere di cambiare le cose! Grazie per avermi dato questa opportunità preziosa in un tempo come il nostro. La pace e la democrazia in Siria sarebbero per me un ultimo regalo fantastico, ma comunque, vi ho inviato questo messaggio solo per dirvi grazie per dare a così tante persone di cuore una voce che ora è ascoltata in tutto il mondo. 15.000.000! Che voce con cui essere ascoltati. Grazie a tutti voi’. Noi di Avaaz abbiamo letto questo messaggio durante una chiamata in cui era presente tutto il team mondiale: eravamo così scossi che abbiamo raccolto le nostre foto con messaggi di speranza e affetto da mandare a Ria per esprimerle la nostra gratitudine. E poi abbiamo capito che Ria meritava più del ringraziamento che le avrebbero potuto dare i membri del team. Quindi dedichiamole due minuti del nostro tempo per ringraziarla per le sue parole e condividiamo i nostri messaggi di speranza: Lei è sintonizzata in diretta sulla pagina dalla sua casa in Inghilterra proprio ora mentre le nostre parole e foto scorrono: http://www.avaaz.org/it/ria_hope/?buBGOab&v=16655”
Attualmente sul sito di Avaaz sono già oltre tremila le pagine di foto, messaggi, videoclip e “ultimi saluti” per questa donna che sta morendo di tumore, e continuano ad aggiungersi a ritmo continuo al link che vedete sopra, da tutto il mondo.
Come un’originale comunità paleo-cristiana in versione 2.0, Avaaz elegge i propri Vescovi democraticamente, acclamando a forza di click le cause che decide di sostenere, e si propaga viralizzando fluidamente se stessa ai quattro angoli del pianeta.
La potenza di Internet e la forza delle community on-line si rivela una volta di più semplicemente straordinaria: chi non comprende e fa suo questo aspetto del nostro vivere contemporaneo, a mio avviso non ha alcuna speranza di successo nel futuro della nostra professione.
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