Il progetto “WebCam” per il Bilancio sociale
06/06/2011
Un’ulteriore evoluzione degli strumenti per la rendicontazione delle imprese: dalla “voce narrante” alla costruzione condivisa del messaggio. _Luca Poma_ propone una nuova modalità di sviluppare il bilancio sociale: non più unidirezionale, ma scritto a più mani con gli stakeholder in tempo reale. Una nuova sfida per le imprese e per i comunicatori.
di Luca Poma
In una sua recente riflessione su Business, Toni Muzi Falconi (1) richiamava all’attenzione dei lettori le caratteristiche della “rendicontazione organizzativa” nelle aziende (“Corporate storytelling”). L’impresa oggi si relaziona con pubblici molto diversi fra loro: “tradizionalmente – ricorda Muzi Falconi – i consumatori hanno rappresentato il terreno prediletto della sua comunicazione, per la semplice ragione che soltanto un’attività push di informazione sui prodotti e servizi poteva indurre le persone alla consapevolezza dell’esistenza di questi e stimolare all’acquisto. Ma oggi, a fianco dei consumatori, hanno assunto un ruolo fondamentale anche i dipendenti, gli investitori, i regolatori pubblici, i fornitori, le comunità locali e altri ancora, e ciascuno di questi intrattiene relazioni con l’azienda attraverso i canali più diversi”.
E’ quindi del tutto naturale che si producano narrative differenziate nei contenuti, nella forma, e negli strumenti utilizzati per dialogare con i propri pubblici di riferimento. D’altra parte, banale ricordarlo, la mappatura degli stakeholders dovrebbe essere propedeutica non solo alla rendicontazione nel bilancio sociale, bensì alla strutturazione di strategie di comunicazione e soprattutto di dialogo personalizzate con tutti i pubblici coinvolti. Da anni suggerisco ai Clienti di strutturare siti web multicanale, per avviare dinamiche di dialogo ad hoc con riguardo alle identità, caratteristiche e aspettative dei vari stakeholder.
Un ulteriore passo in avanti l’abbiamo fatto – dopo l’elaborazione delle necessarie basi teoriche (2) – con la creazione dell’innovativa mappa degli stakeholder su assi cartesiani a quadranti, che permette di abbandonare una procedura per la definizione della posizione dei pubblici sulle mappe meramente empirica, basata solo sull’osservazione dei consulenti e sulle attività di audit, passando ad una procedura basata su criteri scientifici e più oggettivi (3).
Con Luca Yuri Toselli, l’uomo che alcuni chiamano il mio “cervello di back-up”, abbiamo poi alcuni mesi fa stimolato un’azienda cliente ad aprirsi ulteriormente in direzione della trasparenza di processo e della condivisione non solo dei valori ma anche degli strumenti utilizzati per raccontarli.
Abbiamo quindi pubblicato la bozza di bilancio sociale dell’azienda in un apposito spazio web, aperto alla consultazione e soprattutto all’interazione con tutti i pubblici di riferimento dell’azienda. La versione definitiva successivamente stampata – su DVD, per risparmiare in termini di impatto ambientale – è stata quindi il frutto di queste “contaminazioni”, in linea con la nostra visione della teoria della CSR: l’azienda non fa CSR, ma è la propria CSR, e – se assumiamo come vera una totale coincidenza e sovrapposizione d’interessi tra l’impresa ed i suoi pubblici – l’atto di rendicontazione non può più avere alcun senso se predisposto dalla sola azienda al netto degli stakeholder, in modo unidirezionale. L’atto deve necessariamente essere “corale”, scritto a più mani con gli stakeholders, e condiviso con essi dalla stesura della prima parola sul foglio bianco di word.
Per queste ragioni, siamo inevitabilmente approdati ad uno step ancora successivo: abbiamo predisposto un articolato “cruscotto di indicatori dinamici” che – muovendo i passi dall’edizione del bilancio sociale anno 2010 – si sta andando ad arricchire di dati, tabelle, informazioni, e soprattutto storie, in un percorso lungo un anno, condiviso in totale trasparenza e di fatto “costruito” assieme a tutti i reparti aziendali e a tutti i soggetti che costituiscono la rete neurale aziendale. Nasce così il primo bilancio sociale “in tempo reale” mai pubblicato, che è anche di per se un metodo di stakeholder engagement in grado di trasformare i pubblici in elemento strategico per la definizione in co-management della CSR aziendale.
Anche la scelta dell’icona del progetto è stata un’occasione utile di confronto e di discussione: inizialmente pensavamo di evidenziare mediante il simbolo il valore immateriale della “trasparenza”. Sull’onda lunga dell’emozione generata dal 2.0 e dal concetto di “casa di vetro”, pensavamo quindi al ghiaccio, o ad una distesa d’acqua cristallina.
Ma, di nuovo, a noi pareva un approccio ormai obsoleto, un qualcosa del tipo “siamo aperti e trasparenti, se volete potete leggerci dentro”. Meglio di niente, ma puntavamo a qualcosa di ancora differente, volevamo fare un altro piccolo passo in più: enfatizzare il ruolo di “Grande Fratello” che con questo progetto riconoscevamo ai nostri stakeholder, parte di noi, ma anche soggetti “indagatori” dell’intimo dell’impresa.
Abbiamo quindi scelto come nome del progetto il neologismo “Web-Cam”, che richiama subito alla mente l’impossibilità di sottrarsi ai giudizi sul nostro modo di vivere il tempo e lo spazio da parte di soggetti “altri”, o di altre parti della poliedrica identità di ognuno di noi, parti per troppo tempo relegate al ruolo di semplici spettatori e fruitori di messaggi preconfezionati, e in linea con questo concetto come simbolo abbiamo scelto un simpatico pupazzone a forma di occhio, con la pupilla dilatata e una grande lente d’ingrandimento in mano. Il che, tradotto dalla simbologia alla narrazione, per noi significa: non siamo solamente pronti a farci guardare dentro, ma ti invitiamo a farlo, ti riconosciamo il diritto di farlo, e ti diamo anche gli strumenti per farlo con efficacia.
Chiaramente tutto ciò implica la disponibilità dell’imprenditore a mettersi veramente in gioco, al di la delle parole, della propaganda e del greenwashing. Per fortuna un’azienda italiana a forte carattere di innovazione ha già accettato la sfida (4): vi terremo al corrente degli sviluppi.
A quando però un approccio veramente 2.0 da parte dei grandi gruppi? Perché per conoscere la produzione di automobili uscite dagli stabilimenti di una casa automobilistica questa settimana devo necessariamente contattare l’ufficio stampa del gruppo? Perché non posso saperlo, ora, senza mediazioni, connettendomi on-line e seguendo il filo di una “storia” che l’azienda mi racconta istante per istante, magari dando un mio contributo di idee su come vorrei che questa storia mi venisse raccontata?
Una nuova sfida in termini di condivisione, sia per i committenti che per noi relatori pubblici e comunicatori, che dovremo interpretarla.
Un approccio del genere, quasi totalmente disintermediato, renderà superfluo il nostro contributo professionale? Non penso, ci porterà casomai ad affinare i nostri strumenti, obbligandoci a fornire servizi a sempre più alto valore aggiunto. Che è poi il senso – da sempre – della nostra bellissima professione.
(1) Uno dei “padri” delle RP italiane, Past-President della Federazione Relazioni Pubbliche Italiana, esperto di relazioni pubbliche di livello internazionale, Past President della Global Alliance for Public Relations and Communication Management e attualmente consigliere speciale del Presidente, Docente di Global Relations and Intercultural Communication alla New York University e Docente di Relazioni Pubbliche alla Università LUMSA di Roma.
(2) Saggio Reti neurali complesse: nuovi strumenti per la CSR.
(3) Saggio Una nuova mappatura degli stakeholder: strumenti innovativi per una raffigurazione delle relazioni tra un’azienda e i suoi pubblici.
(4) Guna S.p.A., bilancio sociale 2010 (in fase di condivisione, chiusura prevista per fine giugno 2011) all’indirizzo www.guna.it/letueidee , e bilancio sociale 2011 (in fase di condivisione a partire dall’inizio di luglio 2011) www.guna.it/webcam